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20 ANGOSHT

Pubblicato il 6 settembre 2004 da Mazzino Montinari


20 ANGOSHT

Ormai del cinema iraniano si è detto tanto e crediamo non valga la pena insistere ulteriormente sulle sue specifiche caratteristiche. I temi del reale sono certamente il marchio di fabbrica di questa cinematografia e tanto vale superare di slancio il discorso sulla scuola (Kiarostami, Panâhi, Payâmi) e le dinastie (Makhmalbaf) per affrontare direttamente i singoli film di registi che meritano di essere valutati a prescindere dai debiti contratti con i maestri o i padri.
Detto dunque che Mania Akbari ha recitato per Kiarostami in Ten, la giovane regista iraniana si è presentata a Venezia con 20 Angosht, il suo primo lungometraggio, e ha vinto il concorso dedicato alle produzioni in digitale. Senza entrare nel merito del giudizio della giuria, 20 Angosht è un’opera interessante anche se non particolarmente originale nel suo modo di trattare la realtà tra fiction e non-fiction.
Mania Akbari, che insieme a Bijan Daneshmand è anche la protagonista di questo film, mette in scena le diverse situazioni nelle quali può trovarsi una coppia: la prima volta in automobile con lui che deve verificare se la donna è realmente vergine, e lei che tenta in ogni modo di opporre resistenza proprio perché quella verginità è fondamentale che non si perda prima del matrimonio; la gelosia del marito che non tollera le amicizie maschili della moglie; il dissidio quasi irrisolvibile circa la nascita di un secondo figlio, che l’uomo desidera ardentemente mentre la donna rifiuta perché la relegherebbe dentro casa a fare la mamma a vita; una cena intima nella quale si ripercorrono i vecchi tempi e ci si scopre con qualche acciacco in più; la confessione di un clamoroso tradimento della moglie, non con un altro uomo ma con una donna.
Scene da un matrimonio, dunque, nelle quali gli attori recitano come si trattasse di una terapia di coppia. Infatti, alla fine, i due protagonisti si ritrovano a bordo di un motoscafo quasi sollevati dall’aver superato la prova e con la consapevolezza di aver compreso meglio le dinamiche della loro relazione. Insomma, la finzione come momento terapeutico per comprendere una realtà quotidiana che proprio perché di routine rischia di scivolare senza lasciare tracce nelle coscienze individuali. Il cinema allora per la Akbari e suo marito Daneshmand diventa l’occasione di una riflessione esistenziale, atta a far comprendere a entrambi i rapporti di forza che regolano il rapporto uomo-donna. E da questo punto di vista, seppur non si possono negare le specifiche condizioni nelle quali vive una donna iraniana, è possibile prendere questo film dal suo lato universale per indagare su come uomini e donne sanno o non sanno affrontare temi come quelli del sesso, dell’aborto, della maternità e paternità, dell’omosessualità e della fedeltà. Forse, non ci farebbe male (a noi uomini) recitare esasperando i nostri (maschili) difetti e poi, riosservandoci, scoprire che non si trattava affatto di una caricatura ma di una semplice quanto imbarazzante sottolineatura della realtà.

[settembre 2004]

Cast & Credits:

regia: Mania Akbari; sceneggiatura: Mania Akbari; fotografia: Toraj Aslani; montaggio: Mania Akbari; suono: Seyed Mahmood, Moosavi-Nejad; interpreti: Bijan Daneshmand, Mania Akbari; produttore: Bijan Daneshmand; durata: 72’; formato: HD, colore; origine: Iran 2004.

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