X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



75th Academy Award. Tra silenzio, memoria e vergogna

Pubblicato il 28 marzo 2003 da Alessandro Izzi


75th Academy Award. Tra silenzio, memoria e vergogna

Archiviarlo come un’ “Oscar di Guerra”? Di certo quella che si è da poco conclusa è stata un’edizione molto sui generis sia per quel che concerne la pura e semplice organizzazione della serata, sia per quelli che sono stati, poi, i premi assegnati nelle varie categorie. Si era promesso da più parti, nei giorni appena precedenti all’evento, che la cerimonia di consegna degli Oscar sarebbe stata dimessa, volutamente sottotono, senza troppi lustrini e, invece, quella che ci siamo trovati davanti, nella diretta televisiva di La7 (diretta televisiva che ha, qui e lì lasciato a desiderare per le incertezze della traduzione simultanea, per la leggerezza eccessiva di certi interventi in studio e per qualche raro salto del collegamento satellitare) è stata tutto sommato un’edizione fin troppo normalizzante. Un’edizione all’insegna di un buonismo forse anche troppo forzato, in cui la parola d’ordine sembrava essere “Vogliamoci tutti bene” e in cui la politica, salvo rare eccezioni brutalmente destabilizzanti, è stata delicatamente rimossa e tenuta lontana. Delle dichiarazioni d’intenti espresse da molti attori per una protesta silenziosa con tanto di spilletta per la pace a far bella di mostra di sé sugli occhielli delle giacche, è rimasto molto poco, ad essere sinceri, anche se probabilmente, l’abile regia televisiva che ha governato il tutto è stata in grado di inserire sostanziosi stacchi di montaggio nei momenti più delicati restando forzosamente su primi piani di attori visibilmente imbarazzati. La stessa spilletta (ne circolavano, in verità due, molto diverse tra loro, ma tutte relativamente invisibili se la macchina staccava le figure appena a mezzo busto), indossata da un gran numero di attori, era cosa piuttosto piccola, di esiguo significato politico e di relativamente scarso impatto mediatico. Molti attori che avevano dichiarato di non voler partecipare alla serata come atto di protesta verso la politica estera statunitense, forse pressati da un certo terrorismo psicologico, erano invece in sala, con l’aria, quasi, di chiedere costantemente scusa per la loro stessa presenza. E lo stesso Peter O’Toole che aveva dichiarato a gran voce di voler rifiutare il proprio riconoscimento alla carriera, era invece presente con avida mano e sobrio humor inglese. La pace, come tema, riaffiorava qui e lì tra i discorsi di ringraziamento, ma in maniera velata, spesso fin troppo allusiva e generica anche se ci sono piaciuti gli interventi di Chris Cooper (che ritirava il premio come miglior attore non protagonista) o quelli dei ragazzi degli effetti speciali sonori de Le due torri che rimarcavano come usavano lo spirito di unione e fratellanza creatasi in tutta la troupe impegnata nella lavorazione del film come esempio di multietnicità in grado di portare davvero la pace. L’intervento più incisivo, in questo gruppo di discorsi più o meno generici, è stato, comunque, quello, non a caso di due outsiders: il primo Pedro Almodovar che ha ritirato il premio (miglior sceneggiatura originale) invitando tutti a recuperare un senso di legalità e di rispetto (nella concitazione dell’approssimarsi del finale le sue parole sono state meno ascoltate del dovuto) e quello del giovane Gael Garcia Bernal (interprete di due dei film stranieri nominati: Il crimine del padre amaro e Y tu mama tambien) che cita Frida Khano e parla di un’utopia contro la guerra (c’è un “sottile” stacco di montaggio alla fine delle sue parole, su una parte della platea che non batte le mani). Ma tutto questo non ha niente a che vedere con la furia politica con cui Michael Moore ritira la statuetta per il miglior documentario arrivando a dire (tra fischi e applausi) che l’America ha ora una falso presidente che ha ingaggiato una guerra con false motivazioni e concludendo il suo intervento con un icastico: “Vergogna! Vergogna! Vergogna!”. Un intervento, il suo, furioso, denso di rabbia e perfettamente coerente (in un paese che sembra aver dimenticato cosa la coerenza sia) con il pensiero espresso nel suo memorabile documentario. Ma a parte i dettagli dell’organizzazione della serata, sono soprattutto i premi a lasciare stupefatti. In primo luogo colpisce il senso di frammentazione riscontrabile nella distribuzione molto variegata dei riconoscimenti. Ben due statuette vanno al risibile Frida di Julian Taymor (miglior trucco e miglior colonna sonora... bah!). Tre, incredibilmente, al bel film di Polanski Il Pianista (probabilmente premiato per la sua presunta innocuità politica): miglior regia, miglior sceneggiatura e miglior attore protagonista (superlativo Adrien Brody che prega ecumenicamente Allah e il Dio dei cristiani perché venga presto la Pace). Sei soli (meno di metà delle nominations ottenute) i premi per il plurinominato Chicago (tra cui quella francamente risibile per il Miglior Film), mentre Il Signore degli anelli, Le due torri incassa due riconoscimenti tecnici (migliori effetti speciali e migliori effetti sonori). Restano alla fine i premi annunciati (quello a Nicole Kidman per la sua Virginia Woolf di The hours o quello ad Eminem per Loose yourself) e i grandi sconfitti anch’essi prevedibili (Gangs of New York un pugno allo stomaco della coscienza americana). Ma al di là di una serata come le altre (appena un po’ prosciugata nei tempi, il che è un bene...) condita con i numeri di cabaret del presentatore (Steve Martin “splendidamente” politically correct) e numeri di canto e danza (uno scoop: Catherine Zeta Jones trionfatrice nella categoria migliore attrice non protagonista ha insistito per cantare nonostante il pancione) l’unica cosa che può restare davvero nella nostra memoria è proprio l’invettiva di Michael Moore.

[marzo 2003]


Enregistrer au format PDF