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8 marzo con il sari rosa

Pubblicato il 10 marzo 2011 da Sofia Bonicalzi


8 marzo con il sari rosa

In India ogni 34 minuti una donna viene violentata mentre, ogni 93, viene uccisa da un membro della sua famiglia. Inizia con questi dati, scritte sullo sfondo nero di un vuoto incolmabile, il documentario di Enrico Bisi (riproposto a Milano, nel giorno della Festa della Donna, dopo il successo del maggio scorso), che toglie il velo ad un dramma troppo spesso dimenticato, o perfino dato per scontato, in un mondo dove l’indipendenza politica non ha raggiunto un secolo di vita e dove la gerarchia delle caste impone ancora a sua legge feroce. Eppure, malgrado i dati siano sconfortanti, Pink gang non racconta una storia di rinuncia e di fragilità, bensì ripercorre l’incredibile vicenda di Sampat Pal, attivista per i diritti delle donne indiane, fondatrice della Pink gang, un’organizzazione nata allo scopo di tutelare le sorelle in difficoltà.
Il rosa, simbolo in occidente di una femminilità un po’ frivola, è nella regione di Uttar Pradesh, frammento del composito mosaico geo-politico indiano, il colore della protesta e della lotta di donne, spesso analfabete e irrimediabilmente povere, ma consapevoli di avere il diritto ad essere trattate come esseri umani. Sampat Pal è l’anima e la guida della Pink gang, associazione che negli anni ha visto crescere a dismisura il numero dei suoi membri (tutte donne), ma non ha mai scelto o potuto scegliere la strada della politica, continuando a battersi, strada per strada, contro le violenze e i soprusi di un universo maschile ostile e indifferente. Armate di bastone e di un sari rosa, le donne della Pink gang hanno dato vita a piccole imprese economiche, scuole improvvisate e un sistema di reciproco sostegno che diventa strumento attivo di ricerca della giustizia. Le attiviste non gridano slogan contro il governo, ma si dichiarano fedeli alla legge e in lotta contro amministratori inadeguati e poliziotti corrotti, contro lo scandalo di un paese che resta troppo spesso muto di fronte alle violenze più efferate e non riesce a sottrarsi ad un’atavica indolenza, che per troppe donne si trasforma in una condanna a morte.
Sconvolge la figura di Sampat Pal, costretta a sposarsi a dodici anni e quasi completamente analfabeta, ma perfettamente in grado di muoversi fra le pieghe di un sistema dove le differenze economiche si trasformano irrimediabilmente in tare sociali (“in fondo ci sono solo due caste, quella dei poveri e quella dei ricchi”, commenta ad un certo punto) e dove le donne sono troppo spesso ridotte in una condizione di semi-schiavitù o barbaramente uccise fra le pareti domestiche. Ciò che più colpisce, nel documentario di Bisi non è unicamente la violenza in sé e per sé, mai direttamente mostrata, ma l’indifferenza e la perplessità con cui il mondo maschile accoglie il grido di giustizia di Sampat Pal, che urla la sua rabbia, domanda e minaccia, rivendicando i diritti e la dignità di donne che non hanno la forza o la voce per farlo. Non c’è traccia qui di un’India in crescente espansione economica e in cammino verso la modernità, non si vedono sovrappopolate metropoli o esplosive periferie suburbane, ma piuttosto campagne desolate e sporcizia, povertà e corruzione endemica. La nota forse più amara è l’ostilità delle donne stesse, troppo spesso garanti di un sistema avverso al rinnovamento, impegnate a salvaguardare il presunto onore di uomini che si sono macchiati dei crimini più infami (come la donna che difende il figlio, accusato di aver violentato una bambina), o perfino complici di crudeli delitti domestici (come nel caso della sposa bambina, picchiata e uccisa dal marito e dalla suocera). L’amarezza di Sampat Pal emerge quando le donne che si sono rivolte alla Pink gang si scordano del patto di reciproco aiuto e ritornano nell’ombra, non appena hanno risolto le proprie esigenze immediate (la donna che cerca il marito rapito), mostrando come il cammino sia ancora lungo e la ricerca di giustizia passi necessariamente attraverso una presa di coscienza che superi la paura e l’isolamento.


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