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A che cosa serve un critico? (Incontro)

Pubblicato il 6 febbraio 2015 da Filippo Baracchi


A che cosa serve un critico? (Incontro)

Porsi oggi la domanda di utilità o meno della critica cinematografica e del relativo ruolo del critico nell’era del web 2.0 e delle nuove tecnologie è sicuramente fondamentale e opportuno per cominciare a costruire un percorso di rigenerazione di una professione che rischia di andare in estinzione.
Nell’incontro proposto dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (gruppo Lazio) il 30 gennaio 2015, curato da Alberto Anile e Cristiana Paternò con la collaborazione di Paolo Casella, Goffredo De Pascale e Dina D’Isa, si è affrontata la situazione della critica italiana a 360 gradi: la critica che compare sulla carta stampata, nei libri, passando per quella del web con le riviste online e sulla radio.

Il panorama critico italiano è tutt’altro che limitato o finito, ma offre diverse variazioni e spunti in un territorio sconfinato e impervio come quello del cinema. Se di estizione della critica si può parlare in termini di dibattito culturale, il desiderio di critica e di conoscenza da parte di chi non ne mastica e non conosce, c’è sempre di più.
Un paradosso che necessita di una riorganizzazione del sistema cinema, considerando la critica un elemento che non si può fermare soltanto alla semplice definizione positiva o negativa di una pellicola.
C’è chi come Fabio Ferzetti lancia un necessario richiamo ad un critic pride - un orgoglio della critica italiana che deve essere messo in pratica attraverso la prima manifestazione internazionale (la prossima Mostra del Cinema di Venezia). Un orgoglio che deve partire dalla necessità da parte della critica italiana di uscire fuori allo scoperto rianimando e ridefinendo i confini liquidi odierni.
L’orgoglio del critico sta nel partire, prima di tutto, dalle diverse forme di critica presenti oggi e da un’ autocritica (scusate il gioco di parole) che deve superare l’autoreferenzialità della comunità al quale il critico in qualche modo è fortemente e indirettamente legato.
E’ infatti fondamentale distinguere tra critica alta e bassa, ovvero quella frutto di uno studio e dibattito interno al sistema cinema culturale nazionale e europeo (la prima) e una generata invece da una visione superficiale e da interessi commerciali di influenza massmediatica (la seconda). Internet come evidenziato da Marianna Cappi (mymovies.it), Federico Pedroni (cineforum.it) e Federico Pontiggia (cinematografo.it) offre delle notevoli possibilità e non è causa dell’impoverimento della critica (iniziato semmai già molto prima sui quotidiani). Naturalmente non può essere l’unico rifugio per la critica alta, anche se può instaurare un rapporto attivo e presente con il pubblico di diverso tipo e genere.

Il cambiamento della critica o meglio di approccio della critica oggi è fortemente legato all’odierna trasformazione delle Università, che fino a qualche tempo fa erano il centro formativo di qualsiasi critico o studioso di cinema.
Come evidenziato da Alberto Anile ed Emiliano Morreale, la bassa considerazione dei libri di cinema (strumento troppo complesso e poco diffuso per scrivere di cinema ad un potenziale pubblico) parte proprio da questo cambiamento formativo e dalla disponibilità sempre più assidua dell’home video (e dei supporti portatili). La critica nei libri risulta una risorsa per scoprire personaggi medio minori popolari e per dibattiti socio-culturali. Altro invece è il potenziale ancora oggi della critica su carta (la cosidetta recensione) che ha invece l’immutata capacità di resistere al tempo (vedi le recensioni di Flaiano, Palazzeschi per citarne alcuni nomi storici), di descrivere un determinato periodo culturale oltre a connotare il film all’interno di un contesto storico preciso. Altra utilità hanno le interviste capaci di mettere in discussione un determinato cinema o pensiero ad esso legato.
La critica cinematografica sposta dunque il proprio focus da un orientamento semiotico tipico degli ultimi anni del secolo scorso, per approdare a problemi attuali e agli studi culturali (cultural studies). Se la critica che proviene dall’Università è stata più volte accusata di un eccesso di teorizzazione astratta che ha lasciato in secondo piano l’analisi formale del testo filmico, altro è invece la critica come la definiva Tullio Kezich, capace di mantenere quell’entusiamo e curiosità nel pubblico e nello spettatore.

"Come si formano i critici di domani?"
Una domanda opportuna ed è l’aspetto posto dalla produttrice Francesca Cima, che ha giustamente ricordato come le nuove generazioni siano invase da strumenti interpretativi di qualsiasi tipo (video, blog, recensioni etc.) e stimolate da una distribuzione spropositata e disordinata, che difficilmente lascia spazio a qualsiasi orientamento e visione. Per fare fronte a questo ampio consumo di immagini sarebbe opportuno offrire delle guide e dei percorsi formativi per gli spettatori, in modo da potere proporre un percorso al pubblico (i mezzi tra l’altro ci sono tra televisione, scuola e giornali servono progetti e contenuti formativi). Questo riporterebbe al centro il ruolo del critico oltre a offrire un sana e opportuna identificazione nel film da parte del pubblico. Il buon critico non si può limitare alla recensione della pellicola, deve essere attivo nella totalità dell’ambiente cinema.
Laurentina Guidotti, produttrice e attrice, ha invece sottolineato l’importanza della formazione del critico oltre alla necessità di una critica pedagogica specialmente per i piccoli film e le opere prime.
Il rischio maggiore della critica infatti è quella di parlare tra di sé e non al pubblico che segue il cinema anche popolare e di intrattenimento è il punto emerso invece dal regista Paolo Virzì nell’intervento tra regia e critica, evidenziando come anche il SNCCI non debba essere una comunità chiusa e compiacente in sé stessa, ma che debba avere comunque una sua funzione sociale per il pubblico. Alberto Crespi, conduttore da vent’anni del programma radiofonico Hollywood Party, ha infatti manifestato come attraverso il suo programma ci sia una richiesta di critica da parte del pubblico e dunque lo stesso spettatore necessiti di un confronto e di un orientamento sulle uscite in sala.

L’esperienza della Settimana Internazionale della Critica di Venezia sintetizzata da Francesco Di Pace è esemplare per delineare l’apporto della critica per scoprire, proporre e promuovere quelle opere che difficilmente troverebbero spazio in sala. Anna Maria Pasetti ha infatti evidenziato la sua esperienza degli ultimi sei anni, come un’occasione di formazione e confronto utile e necessaria specialmente in un festival internazionale come quello veneziano. L’aspetto importante è che la pratica della critica non rimanga relegata a un ghetto, ma che cominci a rappresentare realmente la discussione culturale sul cinema.
La SIC si trova inoltre in un tornante importante della sua storia, dal momento che quest’anno ricorre il suo trentesimo anniversario. Continuerà la sua azione nei confronti della formazione giovane del critico e offrirà una celebrazione della migliore opera prima nelle tre decadi della sua storia.
Ha concluso i lavori l’intervento di Cristiana Paternò che ha evidenziato come l’orgoglio del critico debba essere fortemente collegato non al personalismo della sua professione ma debba andare nella direzione della difesa e riaffermazione di quella cultura cinematografica ancora associata purtroppo ad una nicchia o nelle sale d’essai.


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