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A - Team

Pubblicato il 21 giugno 2010 da Nicola Lazzerotti


A - Team

Chissà se Brandon Tartikoff (executive e mogul della NBC negli anni ’80, ndr), avrebbe gradito questa trasposizione cinematografica del telefilm (come si diceva una volta!) The A-Team che tanto orgoglio aveva dato alla rete che dirigeva.
La prima cosa che appare evidente alla visione, e che subito ci lascia perplessi, è il logo della casa di produzione. A realizzare il film è infatti stata la 20 Century Fox e non la più prevedibile Universal. Ai più la questione può forse sembrare banale, ma a guardare bene qualcosa non torna. Primo perché la Universal deteneva i diritti del telefilm, e secondo perché la stessa major ha sviluppato una buona esperienza in trasposizioni cinematografiche e remake televisivi, non ultimo Miami Vice. E se anche Universal non fosse stata convinta del progetto qualcosa non torna...

Durante la parziale smobilitazione dall’Iraq delle truppe americane, l’A-Team, un gruppo di soldati scelti delle forze speciali, capitanato da colonnello John ’Hannibal’ Smith e formato dal tenente Templeton ’Sberla’ Peck (’Face’ in originale), il sergente P.E. Baracus (P.E. in italiano sta per ’Pessimo Elemento’, ed è la traduzione non proprio corretta dell’originale B.A., ’Bad Attitude’) e il pilota, il capitano Murdock, compie un’ultima missione ‘non ufficiale’ per conto della CIA. Anche se la missione riesce, il gruppo viene incastrato per il furto di matrici per la stampa di dollari e i membri dell’ A-Team vengono congedati con disonore, divisi e incarcerati. Non rassegnati, però, sono decisi a tutto per fare luce sulla verità.

Come l’originale telefilm anni ’80, A-Team inizia con lo stesso modulo narrativo: un gruppo di militari ingiustamente accusati che hanno come obiettivo quello di riabilitarsi. Allora era il Vietnam, oggi l’Iraq, ma la sostanza rimane invariata e il profilo dei personaggi completamente immutato. Hannibal è il comandante, leader e testa pensante del gruppo; Sberla, bello e seducente, ha un certo talento per rimediare le cose; P.E. è un meccanico, ma anche l’uomo di ‘fatica’, e Murdock un pilota eccezionale, anche se completamente ‘svitato’. Loro sono esattamente la copia aggiornata dei propri alter ego televisivi e, come ogni altra copia, sono l’immagine sbiadita di chi li ha preceduti. A fare la differenza interviene un tono serioso eccessivamente marcato, in cui c’è poco oltre la buona somiglianza fisiognomica e di comportamento; ma ciò che soprattutto manca è quella certa ironia di fondo che permeava i personaggi originali e quel sano distacco dalla realtà che rendeva la stessa credibile.
Più che un remake allora il film ci appare come un vero e proprio reboot. Fin dalla scena iniziale, infatti, gli sceneggiatori hanno voluto dare un taglio netto col passato. Mostrare l’incontro dei quattro significa, dunque, sancire un inizio lì dove prima non c’era nulla (o forse un tutto un po’ troppo scomodo!). A rimarcare questo la simbolica distruzione del furgone di P.E., forse l’elemento più emblematico e iconografico del telefilm. Ma un rilancio, perché funzioni, oltre a dover saper togliere deve anche saper dare, ed è questo il punto dolente del film, che ci sembra da questo punto di vista completamente vuoto e vacuo. Un esempio lampante è la rappresentazione della violenza: se è infatti lecito aspettarsi nel passaggio da televisione anni ’80 a cinema odierno l’esplicitazione della violenza e la radicalizzazione della morte (nel telefilm non moriva mai nessuno!), è altrettanto vero che questa scelta non ha altra ragione nel film che la mera spettacolarizzazione. Tanto è delicato questo punto di trasformazione che gli sceneggiatori, attraverso l’escamotage della battuta esplicitata in un dialogo tra Hannibal e P.E., in cui viene tirato in ballo Gandhi, danno la giustificazione della morte in battaglia. Liberati dal peso della violenza allora diventa tutto lecito e forse anche gratuito in virtù della spettacolarità.
Quello che alla fine ne vien fuori è allora il solito baraccone esplosivo farcito di scene neanche troppo adrenaliniche. Un film che scimmiotta e fa il verso, giusto quello, all’originale in virtù di una forma che mai lambisce la sostanza e di una confezione registica di maniera; al resto pensano una sovrabbondanza di effetti digitali molto poco reali. Non ce ne vogliano gli autori: parafrasando Hannibal, questa idea di un nuovo A-Team ci pare un piano molto mal riuscito.


CAST & CREDITS

(The A-Team); Regia: Joe Carnahan; sceneggiatura: Joe Carnahan, Brian Bloom, Skip Woods tratta dall’omonima serie televisiva ideata da Frank Lupo e Stephen J. Cannell; fotografia: Mauro Fiore; montaggio: Roger Barton, Jim May; musica: Alan Silvestri; interpreti: Liam Neeson (John ’Hannibal’ Smith), Bradley Cooper (Templeton ’Sberla’ Peck), Quinton ’Rampage’ Jackson (P.E. Baracus), Sharlto Copley (Murdock), Jessica Biel (Charisa Sosa); produzione: Twentieth Century Fox Film Corporation, Dune Entertainment; distribuzione: 20th Century Fox ; origine: USA, 2010; durata: 121’.


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