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Agorà

Pubblicato il 22 aprile 2010 da Salvatore Salviano Miceli


Agorà

Strano constatare che Agorà, faraonica produzione da 50 milioni di euro (ma voci non confermate si spingono nell’ipotizzare una spesa complessiva ancora maggiore) sia firmato da Alejandro Amenábar, autore di pellicole belle (Mare Dentro, 2004) e bellissime (The Others, 2001) ma comunque tutte piuttosto intime e accompagnate da budget assai lontani da questa sua ultima fatica.
Il kolossal storico ambientato ad Alessandria d’Egitto, nel IV sec. d.c., durante l’impero romano è stato presentato per la prima volta a Cannes nel 2009 fuori concorso dal regista spagnolo di origine cilena. È un periodo, quello raccontato nel film, in cui si succedono le rivolte religiose, con il Cristianesimo che da credo perseguitato e osteggiato inizia ad acquistare una forza crescente sino ad oscurare poteri politici e discipline filosofiche. Nella leggendaria biblioteca della perla egiziana (non quella distrutta all’arrivo di Cesare), Hypatia, brillante astronoma cui presta il volto una assai ispirata Rachel Weisz, lotta per difendere il sapere antico e i preziosi manoscritti (e con essi la sua libertà di donna indipendente e dalla profonda preparazione scientifica) dalla crociata antieresia di una comunità cristiana che non ammette dubbi e interrogativi sull’esistenza di Dio, non disdegnando di considerare esecrabile e fonte di peccato tutto quello che esula dalle sacre scritture.
Curioso che improvvisamente la Chiesa si sia trovata ad affrontare due contemporanei casi cinematografici, pur tra loro assai diversi. Se Angeli e Demoni non può che avere fatto storcere il naso alle autorità religiose (ma sono lontani i tempi de Il Codice Da Vinci e le connesse reazioni spropositate), Agorà pone in luce, con l’appoggio delle fonti storiche, la violenza ideologica ed assolutista delle prime rivolte cristiane. Decidendo di raccontare un personaggio mai portato sullo schermo sino a questo momento, Amenábar sfrutta la scienza e le ricerche di Hypatia sul sistema geocentrico per descrivere un mondo in lotta, in cui credi diversi rifiutano la possibilità della convivenza optando per l’annichilimento, per l’eliminazione fisica delle idee contrarie. In questo il film è assai contemporaneo, lasciando rintracciare legami non troppo velati con guerre ideologiche che ancora oggi si accendono in ogni angolo del mondo e spesso regolano rapporti e relazioni tra popoli e paesi.
Il regista schiaccia la prospettiva, affidandosi spesso a strabilianti visioni dall’alto, appiattendo l’umanità e rendendola una macchia scura, piccola e indecifrabile, in continuo e perenne scontro. Due ore e trenta minuti sono tante, e probabilmente restano un retaggio dell’idea principale, quella cioè di un documentario televisivo per la Cnn. Il film non regge pienamente la dilatata durata. Amenábar non fa nulla per nascondere il suo gusto raffinato per l’impaginazione visiva del racconto così come l’orientamento intimo con cui delinea ogni singolo personaggio. Ad Hypatia, ed alla splendida figura di Rachel Weisz, toccano lunghi ed intensi primi piani che permettono una commossa partecipazione all’eccitazione delle scoperte prima, e al dolore dell’oscurantismo religioso poi.
La differenza tra Agorà ed altri Kolossal di matrice storica e di produzione hollywoodiana è abissale. Qui non c’è alcuna enfasi nel racconto, gli eroi non corrono a cavallo lanciando epiteti pronti a trasformarsi in leggendarie evocazioni, e di conseguenza non c’è quel coinvolgimento emotivo basato sull’accrescimento costante della tensione. Proprio per questo è difficile capire quale possa diventare, in termini di distribuzione, il target cui rivolgere la pellicola. L’accoglienza del Festival è stata tiepida (qualche applauso soffocato in parte da un boato di disapprovazione). Definire il film riuscito è azzardato, ma certo non si può liquidare frettolosamente. I suoi pregi, così come i punti di debolezza, sono tutti figli dello stile austero ma elegante del suo autore, innamorato del mezzo cinematografico e abbastanza portato a perdersi nel gesto fine a se stesso quando non supportato da una sceneggiatura in grado di mitigarne l’estro. A noi Agorà ha convinto in parte, senza troppo entusiasmare. Forse un budget minore, paradossalmente, avrebbe spinto Amenábar nei territori a lui meglio conosciuti, quelli più intimi in cui ogni svolta narrativa è dettata solo da un profondo lavoro introspettivo.


CAST & CREDITS

(Agorà); Regia: Alejandro Amenábar; soggetto e sceneggiatura: Alejandro Amenábar, Meteo Gil; fotografia: Xavi Giménez; montaggio: Nacho Ruiz Capillas; musica: Dario Marianelli; costumi: Gabriella Pescucci; scenografia: Guy Hendrix Dyas; interpreti: Rachel Weisz (Hypatia), Max Minghella (Davus), Oscar Isaac (Oreste), Ashraf Barhom (Ammonius), Rupert Evans (Synesius), Michael Lonsdale (Theon); produzione: Mod Producciones; distribuzione: Mars Distribution; origine: Spagna; durata: ‘141;


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