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Albakiara

Pubblicato il 24 ottobre 2008 da Sara Ceracchi


Albakiara

Prima di cassare Albakiara nel modo che ci verrebbe più spontaneo, tenteremo di definire le ragioni del nostro disgusto. Tanto per cominciare la pellicola è, come sicuramente tante altre in questi ultimi tempi, un gigantesco spot agli elementi che la compongono: in questo caso Albakiara però tutto questo è esplicito, come fosse ormai sottinteso per il nostro cinema nascere sul titolo di un vendutissimo libro per teenager, o, come in questo caso, sulle canzoni di un Blasco nazionale il cui rampollo, guarda caso, è tra i protagonisti del film. Non è questa però la pecca peggiore della fatica di Stefano Salvati, regista storico dei videoclip di Vasco Rossi, qui alla sua terza prova nel lungometraggio: d’altronde non è detto che film tratti da altri successi mediatici non possano essere capolavori, e neanche è detto che i figli d’arte non si rivelino degni dei talentuosi genitori. Soprattutto, non è detto che un’operazione filmica puramente ed esplicitamente commerciale non possa risultare gradevolissima o addirittura pregevole. Ricordiamo che i film di exploitation (=sfruttamento), in particolare della generazione del New American Cinema, erano operazioni squisitamente commerciali e cionondimeno memorabili sotto tanti aspetti: uno di questi fu l’ormai quasi trentenne Easy Rider, a cui, chissà se più o meno consapevolmente, Albakiara strizza l’occhio. Infatti il nodo concettuale di fondo che ci è sembrato sottendere tutto il film è quell’elogio di una supposta massima libertà, che anche quando sembra insopportabilmente esagerata non è mai nulla a confronto con la vera cattiveria del mondo infame. Così tutto è alla fine un gioco innocente, specialmente se non si fa del male diretto a nessuno: la sessualità disinibita, il commercio pornografico, la droga leggera, la droga pesante, le serate gangster. Nessuno in questo film cammina per strada con la faccia pulita mangiando una mela: qui come minimo si esce per rubare delle magliette firmate, anche se non se ne ha un gran bisogno. L’ambiente tratteggiato in Albakiara è una sorta di Gomorra, sublimata e quasi innocente, che a questo punto avrebbe però necessitato di essere portata fino in fondo, e questo non accade, poiché il mondo dei buoni alla fine è diviso da quello dei cattivi dall’esistenza di una love story vera, terrena, reale e a suo modo pura, elemento che svela inesorabilmente la viscerale predestinazione al botteghino della pellicola. Un elemento questo che non gioca da solo, se andiamo a guardare anche a talune scelte di montaggio e trovate grafiche che hanno come massima risultanza il fatto di indirizzare inequivocabilmente – e anche sorprendentemente - l’opera a un mondo giovanilistico, più e meno plausibile, a cui il film s’ispira. Eppure così non arriviamo ancora alle ragioni profonde del nostro disgusto: c’è ancora da dire infatti che l’“exploitation” in Albakiara ha il fondamentale problema di giungere fuori tempo massimo, nel conforto di una produzione e di una distribuzione più che comode, e senza scopi cinematografici né tanto meno sociali. In un film come Easy Rider, del 1969, la trasgressione sul set e nel film fu assolutamente reale e sentita, poiché erano tempi in cui la libertà interiore individuale era qualcosa che doveva ancora essere definito e ribadito, oggi come allora, ma nel 1969 si trattava di speranze non ancora disilluse e ancora pienamente in diritto di cercare una strada, sbagliata che fosse: arrivare al limite era ancora l’unico modo per capire quali fossero le convenzioni che ci si era lasciati alle spalle, e quali di quelle valesse la pena recuperare per trovare un equilibrio tra il sé sociale e il sé personale. Ed è in questa differenza con un film di trent’anni fa che si annida il nostro disgusto: in Albakiara il mondo lascivo di una gioventù liceale, che trova simpatico il bidello che spaccia cocaina, che non concepisce il divertimento al di fuori del sesso orgiastico è qualcosa che invece di sconvolgere arriva ad essere incredibilmente ordinaria e noiosa, fino a perdere tutta la carica sovversiva che forse vorrebbe esprimere; irritante poi se si pensa a quanto tutto questo banalizzi il problema del disagio giovanile reale, non inteso in senso bigotto, ma pensato negli ambienti dove è la povertà a rendere prostituzione droga e delinquenza le uniche soluzioni per sopravvivere. Comunque non è detto che il film abbia la minima intenzione di sconvolgere: potrebbe essere semplicemente una torbida favola metropolitana se solo l’altro film, il narco-thriller che s’intreccia con la storia della novella Lolita Chiara (o Kiara?), avesse lo spessore giusto per fare da contraltare ai giochini della beata innocente gioventù. Si nota qui, in alcuni passaggi, il tocco del giallista Lucarelli –sceneggiatore con Salvati-, ma questo non basta a risollevare quel che pare un’infelice accozzaglia tra Miami Vice, Hostel, Le Comiche e L’Enigmista: un dannoso casuale assemblaggio di citazioni e generi di una prevedibilità imbarazzante, che sembra appositamente aggiunto a colmare la vuotezza dell’altra parte dell’opera. In mezzo a tutto ciò vive un altro piccolo film, quello con Esmeralda, la sorella di Chiara, una ragazza fortemente depressa che di tanto in tanto, guidata da un airone fantastico vaga attraverso mondi immaginari, alla ricerca forse di una via di fuga dal lupanare in cui vive. L’attrice, Natalia Pioli, sostiene nobilmente e coraggiosamente la propria parte, pure appena abbozzata, risultando così pressoché l’unica nota positiva di tutto il film: quando fugge di corsa, gridando nel vento tutta la propria disperazione si è tentati di alzarsi dalla poltrona del cinema e fare lo stesso.


CAST & CREDITS

(Albakiara); Regia: Stefano Salvati; sceneggiatura: Stefano Salvati, Carlo Lucarelli; fotografia: Maurizio Calvesi, Luigi Martinucci; montaggio: Paolo Marzoni, Fabio Trebbi; musica: Gaetano Curreri, Frank Nemola; interpreti: Raz Degan (Ispettore Castri), Davide Rossi (Nico), Laura Gigante (Chiara), Alessandro Haber (zio Baldo), Ivano Marescotti (Commissario Guidotti), Dario Bandiera (Andrea); produzione: Mikado Film, Pixeldna, Rai Cinema, Peace; distribuzione: Mikado Film; origine: Italia, 2008; durata: 90’


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