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Alice - flusso cosciente di musica e parole

Pubblicato il 13 giugno 2017 da Alessandro Izzi


Alice - flusso cosciente di musica e parole

Il pubblico è dapprima accolto nel foyer del Teatro di Documenti, una realtà discreta e importante del quartiere Testaccio. Qui ognuno è invitato a togliersi le proprie preoccupazioni e i pensieri quotidiani come si fa con i cappotti d’inverno, con un gesto delle spalle. Lo spettacolo che sta per cominciare, ci si dice anche se non propriamente a parole, è un po’ particolare. Non nuovo. Non di quelli che pretendono di sfondare un muro di convenzioni e metterci di fronte a chissà quale verità, ma onesto, questo sì, e pensato. Bisogna guardarlo dalla giusta distanza, pronti a lasciarci trasportare senza la zavorra di un telefonino acceso che ci riporti al mondo di fuori.
Poi si entra nella sala, dopo un breve corridoio e qualche scala che dà veloce l’impressione di uno scendere in cantina, in un grembo umido e freddino. Immagine delicata per chi si appresta a sognare guidato dalle parole e dalla musica annunciate nelle locandine.
Del resto Alice promette di essere un singspiel, un genere vecchio che ha bisogno della giusta temperatura, come un buon vino imbottigliato che quando lo stappi ti lascia un messaggio nell’aroma che si spande.
Si sbuca, infatti, all’ultimo gradino, in una sala lunga e bassa. Sul lato sinistro un telo steso e teso blocca lo sguardo immergendolo nel blu di luce di un acquario. Poco più avanti: un violoncello e un contrabbasso. L’esecutore è già seduto, pronto al bisogno di scena. Al lato opposto, invece, un bancone di legno intarsiato nasconde la regia. In perfetta specularità rispetto all’altro lato, ha, due passi avanti, una sedia di legno, bianca, dall’alto schienale. L’hanno messa a filo di una botola che si intravede appena e che, quando si accende lo spot a illuminare la postazione, diventa la cornice di un’ombra. Un dettaglio, ti viene da pensare, chissà se ragionato prima o scoperto in location quando l’idea di spettacolo è scesa a patti con lo spazio scenico.
Le sedute sono invece sui lati lunghi della sala: una fila, appoggiata al muro, una seconda panca avanti, se il pubblico fosse, si spera ma non troppo, un po’ più numeroso. Non troppo perché Alice, come il vino, meglio assaporarlo in pochi. Avrà una sua ragion d’essere anche nelle grandi arene, puoi scommetterci, ma ha una ragione più pura in uno spazio raccolto. Uno spazio raccolto che sappia farsi racconto.
Al centro della scena, lo noti non appena ti siedi, un libro, illuminato da ghirigori videoproiettati. Un punto di partenza. O forse di arrivo. Chissà.
Ci si accorge solo a questo punto che dal lato dell’ingresso non c’è una sola porta, ma tre: una dietro la regia, da dove entrerà l’attore, una centrale con microfoni per la voce e il canto di fronte alla quale sono già le tastiere di Angelo Vitaliano e quella da dove si è venuti, che diverrà presto scena anch’essa trasformando lo spazio racconto in una prigione dello sguardo: tutto è scena perché tutto è vero. Così è. Ma solo se vi pare.

Poi acqua. Acqua ovunque e, come nella ballata di Coleridge, non un goccio che si possa bere. Solo Alice può berne e con quali conseguenze lo sa anche il bambino che ha solo visto il cartone animato della Disney.
Acqua nella luce perlacea. Acqua nei suoni di apertura. Acqua nei vuoti che si riempiono e nei silenzi che si impongono in chi guarda. Tutto è fluido in Alice. Il moto dei frammenti tematici che rimbalzano da uno strumento all’altro e da una parete all’altra. Il rincorrersi di voce e musica. Il canto dispiegato come pure il recitato. Tutto scivola in tutto come l’onda del mare in mezzo agli scogli, tra un gorgoglio e un risucchio.
Se un complimento si deve fare alla compostissima drammaturgia dello spettacolo di Angelo Vitaliano è che essa è appunto acquea, in perenne divenire. Del resto lo spettacolo è un flusso, come una corrente carsica più fredda che circola in mezzo al pubblico lambendogli i piedi. E in quanto flusso esso è metamorfico, in perenne divenire, in continuo cangiamento. Come la musica che scivola naturalmente da un frammento tematico all’altro in una libera improvvisazione che asseconda come può il silenzio del pubblico, parte emotivamente integrante dello spettacolo. O come il libretto che scopre l’arcano carroliano della parola imbroglio che si aggroviglia come cerchi di sbrogliarla riempendosi di echi insospettati da Calvino mentre i sostantivi si spezzano, si riflettono, si incartano su loro stessi scoprendo, nel loro essere fonemi infinitamente manipolabili, la possibilità di significare tutto e il suo contrario. O come, infine, il gioco efficace di voci tra canto e racconto (verrebbe quasi da dire raccanto) in cui la musica e la parola si confondono e si sciolgono l’una nell’altra come acqua e olio: lo sai che restano staccate, ma provaci pure a prenderle e a tenerle strette in una mano.

L’impostazione della scena obbliga lo spettacolo nei limiti di un ring. L’attore, Fabrizio Falco, dà alla voce del suo dire lo stesso senso di stupore della storia di Alice che segue il suo coniglio. Il corpo, nel frattempo, si contorce appena, in cerca della posa che si legga con un senso solo da tutti e due i sensi del suo pubblico. Dura un battito di ciglia e poi cangia come tutto il resto. La linearità della scena, del resto, gli dà di spazio appena un corridoio in cui l’unica cosa da fare è camminare, trovando un passo diverso ad ogni cambio di scena. Ragionato appena un po’ di più, questo braccio di ferro d’attore col suo pubblico potrebbe aspirare alla poesia.
Poi com’era cominciato lo spettacolo finisce, in un surplus di emozione con l’addio che si gonfia a gioco d’ombre e lascia il pubblico a confrontarsi già con il ricordo di qualcosa di importante.

Difficile dire, in questo caleidoscopio metamorfico quale sia la cosa più convincente: se la musica di Angelo Vitaliano (ricca e stratificata) o la regia di Nicola Ragone che asseconda i moti d’onda di una drammaturgia tanto evanescente. Di certo è calda e bella la voce di Rosy Bonfiglio, mentre sarebbero forse da valorizzare meglio le immagini di videomapping di Angela Marchesani. Certo è che lo spettacolo può crescere ancora e ci auguriamo che lo faccia perché già così è tanto spesso molto più di un mero sogno a occhi aperti.


Alice
Singspiel Multimediale di Angelo Vitaliano.
In scena al Teatro di Documenti di Roma, 8-11 Giugno 2017

Regia: Nicola Ragone
Musica, adattamento, drammaturgia: Angelo Vitaliano
Libretto Originale: Dario Gigante
con Fabrizio Falco
e con
Rosy Bonfiglio, canto/voce recitante
Carmine Iuvone, Contrabbasso/Violoncello
Angelo Vitaliano, sintetizzatori

animazione, illustrazione e videomapping: Angela Marchesani
voce acusmatica: Linda Vanzi
aiuto regia: Giuliano Braga
suono: Gianfranco Sforzin
prodotto da Vincenzo M. Paolella per MINIMO COMUNE TEATRO


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