Alien: Covenant
«Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re.
Ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate!»
David
Continua il viaggio di Ridley Scott e della sua “creatura” più famosa, indietro nel tempo e sempre più in profondità nello spazio sconosciuto, alla ricerca della verità sulle origini della Creazione.
Dopo le disavventure della nave madre Prometheus (narrate nel primo omonimo capitolo della trilogia-prequel al cult Alien del 1979), i fan della saga sci-fi/horror si ritrovano sulla nave madre Covenant: sono passati undici anni dall’approdo della Prometheus sulla luna LV-223, sulla quale il capitano Elisabeth Shaw, il suo equipaggio e l’androide David trovarono una nave aliena di proprietà degli Ingegneri, umanoidi interessati alla creazione della vita e allo sviluppo di una potentissima arma biologica così evoluta da perderne il controllo; dopo essere sopravvissuti al risveglio di uno degli umanoidi, Shaw e David avevano intrapreso un viaggio verso il pianeta natale di questi, alla ricerca di risposte. Così, quando la Covenant viene danneggiata da una tempesta di neutrini e raggiunta da un’interferenza che si rivela un segnale proveniente da un pianeta sconosciuto, l’intero equipaggio decide di atterrare per esplorare il nuovo corpo celeste: quel che il vice-capitano Daniels (Katherine Waterston), l’androide di nuova generazione Walter (Micheal Fassbender) e il resto dell’equipaggio hanno trovato è proprio il pianeta natale degli Ingegneri, uccisi in modo misterioso; quando alcuni membri dell’equipaggio inalano delle spore parassite, dalle quali prenderanno corpo i letali Xenomorfi, uccidendo gli astronauti stessi, il gruppo verrà salvato dall’androide David (ancora Fassbender, sdoppiatosi per l’occasione), unico sopravvissuto della spedizione della Prometheus. Ma David non ha buone intenzioni e pare aver speso tempo ed energie in una ossessiva ricerca scientifica sull’evoluzione di specie aggressive, in correlazione al lavoro biologico effettuato dagli Ingegneri.
Se in Prometheus Scott poneva le basi per il background relativo alla saga dell’alieno più micidiale della storia del cinema, costruendo un blockbuster a effetto e fracassone, sacrificando l’introspezione dei personaggi e del loro punto di vista sulla creazione della vita a un incipit megalomane e a un minutaggio eccessivo di sequenze d’azione fini a loro stesse, con Alien: Covenant il regista ritrova il bandolo della matassa, concentrandosi su una narrazione più mirata e riflessiva: in questo secondo capitolo della trilogia prequel, i veri protagonisti sono gli androidi Adam e Walter che, in quanto essi stessi esempi di fulgida creazione artificiale, vengono assaliti dall’ossessione dei “creatori” (che siano gli esseri umani o gli stessi Ingegneri) sulla possibilità di poter dar vita a nuove forme biologiche tendenti a uno status di perfetta emancipazione. Il tempo non è dalla parta degli esseri mortali (“Weyland mi ha creato, ma nel momento della sua morte sono arrivato a compatirlo”, dirà David a Walter) e per trovare le risposte sulla vita eterna e la perfezione dell’evoluzione occorrono tempo e capacità di adattamento, ma il fine non può giustificare i mezzi, nemmeno stavolta: con Alien: Covenant, Scott esce definitivamente allo scoperto, costringendo il personaggio più criptico, ambiguo e affascinante della saga a macchiarsi di crimini atroci in nome di un glorioso e utopistico sogno, per poter acquisire le capacità di potersi sostiturie a Madre Natura nell’inafferabile processo di creazione della vita; di pari passo il film assume i contorni di un manifesto ecologico (“Se saremo gentili, troveremo un pianeta gentile” confessa David a Daniels nell’ultima scena, prima del finale a sorpresa), che rigetta nel corpo e nello spirito l’ossessiva propensione alla colonizzazione, alla possessione e allo sfruttamento della natura incontaminata e della ri-generazione di essa, sotto forma di minacciosi mostri assassini (gli Xenomorfi, appunto) stavolta perfino in grado di mutare a velocità esponenziale e maggiormente resistenti (una minuscola incongruenza narrativa, rispetto agli alieni visti nei primi film, ambientati cronologicamente dopo gli eventi narrati in Prometheus e Covenant).
Il cinema di Scott ritrova con Alien: Covenant quella veste orrorifica che aveva perduto con il capitolo precedente, dosando con parsimonia elementi sci-fi di stampo classico, per lasciar posto a gorgoglii fuori campo, imboscate aliene notturne, antri cavernosi e splatter a volontà.
Certo, Alien: Covenant non riesce a sprigionare del tutto quel caustico romanticismo di cui i primi Alien erano intrisi, ma supera per distacco l’asettica messa in scena di Prometheus, riportando i personaggi più affascinanti in primo piano (l’androide David e gli Xenomorfi), stavolta padroni della storia. Si può accusare Scott di restare ancora una volta impastoiato in ripetuti e ripetitivi meccanismi narrativi, ma in Alien: Covenant questi assumono i contorni di omaggi autoreferenziali, più che riproposizioni di meccanismi collaudati riutilizzati per mancanza di idee.
E in questo equilibrio tra continuity e citazionismo il film trova la sua forza, regalando momenti di pura estasi cinefila (la sequenza del raggiro di David ai danni del capitano Oram/Billy Crudup, all’interno del magazzino di uova ne è l’esempio perfetto) a chi nello spazio continua a urlare e non riesce a smettere di farlo.
(Alien: Covenant); Regia: Ridley Scott); sceneggiatura: John Logan, Dante Harper; fotografia: Dariusz Wolski; montaggio: Pietro Scalia; musica: Jed Kurzel; interpreti: Michael Fassbender, Katherine Waterston, Billy Crudup, Danny McBride, Demián Bichir, Carmen Ejogo, Amy Seimetz, Jussie Smollett, Callie Hernandez, Nathaniel Dean, Alexander England, Benjamin Rigby; produzione: Brandywine Productions, Scott Free Productions; distribuzione: 20th Century Fox; origine: U.S.A., 2017; durata: 122’