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American Gangster

Pubblicato il 18 gennaio 2008 da Marco Di Cesare


American Gangster

Duellanti a distanza in una sfida per il Paradiso, doppi le cui vite scorrono parallele, inizialmente neanche sospettosi l’uno dell’esistenza dell’altro, fino a che la distanza che li divide sempre più diminuirà: ma senza fretta alcuna.
Ognuno deve realizzare il proprio American Dream, nella New York dei primi anni ’70. Come Frank Lucas (Denzel Washington), che sale i gradini della malavita, spacciando ai fratelli neri la ’Blue Magic’, eroina purissima venduta a un quarto del prezzo normale: ma come può questo ’miracolo’ diventare possibile? Basta vivere nella terra delle opportunità, annullare la catena dei rivenditori e direttamente importare droga dal Vietnam, nascondendola nelle bare dei soldati, figli d’America che tornano in patria carichi dei frutti della sporca guerra. E l’altro duellante? È il detective Richie Roberts (Russell Crowe). Due attori meravigliosi, per una volta. Washington scarno e freddo, silenzioso di una lucida violenza pronta ad esplodere contro chiunque, protagonista liturgicamente accarezzato dalla mdp, familista e con la moralità di un Corleone, che tenta la scalata nei quartieri alti, per poter finalmente parlare alla pari coi bianchi. Russell Crowe: poliziotto dalla vita privata a pezzi, ebreo in mezzo ai cattolici, Serpico fin troppo contento di essere incorruttibile, e per questo solo, personaggio interpretato sottotono quasi con superba capacità attoriale, atletico eppure appesantito detective che studia per diventare avvocato. L’ordine nel regno del caos, contro il caos nel regno dell’ordine. Eppure entrambi seguono un proprio codice di comportamento, che li innalza al di sopra dei loro colleghi. E ciò che maggiormente desiderano è il rispetto altrui. Ma quale rispetto può provenire da una Babele in mano alla corruzione degli insospettabili?
Il cinema di Ridley Scott, anche nei suoi momenti peggiori, ha spesso mantenuto la costanza e anche il coraggio di affrontare certe tematiche con toni liberal che, però, perdevano di pregnanza a causa di discutibili scelte formali. E fondamentale è sempre stato l’incontro con l’altro, come nella conquista dell’America nel 1492 o nelle Crociate post 11 settembre: in entrambi i casi veniva auspicato il raggiungimento di uno stato di equilibrio e pace tra culture lontane, progetto fermato dall’intervento di una cultura retrograda come quella occidentale, oppressa dalla chiesa cattolica. Senza dimenticare capolavori come Alien e Blade Runner, dove altrettanto pressante era la sensazione di un ’dover sopravvivere’, più che di un semplice ’poter vivere’: fantascienza cupa e sporca. Ma American Gangster è un gangster-movie atipico: mai veramente cupo, è un film solido che si permette di giocare coi cliché del genere, fino a inoltrarsi nella rilettura di opere come Heat e Il Padrino.
In quest’ultima sua opera, l’inglese di Hollywood, finalmente presta la necessaria attenzione alle psicologie e sceglie una maggiore morigeratezza nelle scelte della rappresentazione: regia e montaggio diventano funzionali alla narrazione, quasi casti, mentre la cinematografia (curata da Harris Savides, il grande direttore della fotografia di Elephant e Zodiac, qui alla sua prima collaborazione con Scott) assume i toni sbiaditi di una riproduzione d’epoca, senza più l’obbligo di dover esprimere effetti, rutilanti nella loro inutilità. Tutte le componenti sono tenute insieme da una sceneggiatura che vive con ragion d’essere, copione (curato da Steven Zaillian, scrittore sì di Hannibal, ma anche di Schindler’s List) tratto dall’articolo di un giornale uscito nel 2000 che esaminava la storia vera di Frank Lucas. Giusto il finale presenta alcuni problemi, visto che corre via un po’ troppo velocemente.
American Gangster può costituire un sussulto talmente forte da poter facilmente smuovere le acque da troppo quiete della filmografia di Ridley Scott, tanto da far gridare al ritorno al (quasi) capolavoro per un autore che finalmente potrebbe non più dover guardare verso il passato, per ricordarsi della propria grandezza.


CAST & CREDITS

(id) Regia: Ridley Scott; soggetto: tratto dall’articolo The Return of the Superfly di Mark Jacobson; sceneggiatura: Steven Zaillian; fotografia: Harris Savides; montaggio: Pietro Scalia; musica: Marc Streitenfeld; scenografia: Arthur Max; costumi: Janty Yates; interpreti: Denzel Washington (Frank Lucas), Russell Crowe (Detective Richie Roberts), Cuba Gooding Jr. (Nicky Barmes), Josh Brolin (Detective Trupo); produzione: Universal Pictures, Imagine Entertainment, Relativity Media, Scott Free Productions; distribuzione: UIP; origine: USA 2007; durata: 154’; web info: sito ufficiale.


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