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Ammore e Malavita

Pubblicato il 5 ottobre 2017 da Anton Giulio Onofri
VOTO:


Ammore e Malavita

Scrivere di un prodotto cinematografico accolto con tanto calore alla sua presentazione veneziana (forse il tributo più caldo e festoso registrato da un film del concorso ufficiale alla Mostra del Cinema), e per giunta un prodotto italiano, comporta diverse cautele nel cercare i toni per non risultare altezzosi e spocchiosi da un lato, o eccessivamente campanilisti dall’altro. Con Ammore e malavita dei Manetti Bros siamo nell’ambito di un cinema di intrattenimento a metà fra il popolare e l’autoriale. Autori tout court i Manetti Bros proprio non li si può definire, ma il modo in cui si sono accostati al materiale fortemente ‘pop’ utilizzato in questo loro musical partenopeo (cioè il variopinto universo dei videoclip musicali dei cantanti Neomelodici che razzolano alle pendici del Vesuvio) dovrebbe rientrare a buon diritto nella sfera del “cólto”: è indubbio, infatti, che l’intervento di due registi piovuti da Roma (e non per la prima volta: ricordate il loro Song ‘e Napule?) sui vicoli dei Quartieri Spagnoli e sulle spiagge del Golfo, per coprire a macchia d’olio l’intero teatro che i devoti di San Gennaro condividono in drammatica armonia con i burattini di una malavita indissolubilmente consustanziale al tessuto cittadino, sia un’operazione creativa pensata con la consapevolezza di maneggiare qualcosa che andava ‘tradotto’ per essere esportato altrove (prima la Laguna, poi le sale cinematografiche di tutta Italia, e, glielo si augura, del mondo), spostando il bilancino dal Kitsch dichiarato dei videomanufatti locali, spesso realizzati con povertà di mezzi e fantasia visionaria degni di Bollywood, in favore di una messa in scena più avanspettacolare secondo i crismi di una comicità di stampo televisivo, nazionalpopolare e postberlusconiana, un po’ alla Bagaglino, per intenderci. Dire che come operazione non sia riuscita, di fronte al tripudio di risate e applausi a scena aperta delle proiezioni stampa e delle proiezioni per il pubblico nel calendario di Venezia 74 suonerebbe come un antipatico e pregiudiziale controsenso. Ma se il dovere del critico, nella fattispecie cinematografico, è quello di verificare e confermare o meno una certa qualità ‘cinematografica’ del prodotto, ovvero non la sua capacità di scatenare entusiasmi e magari trasformarsi in una macchina fabbricaquattrini, ma la sua tenuta artistica come prodotto credibile per le generazioni future, bisogna lasciare a casa la pancia e, senza inforcare nessuna odiosetta matita rossoblu, argomentare l’opinione su un risultato tra il fallimentare e l’occasione mancata, senza contare la lesa maestà ai danni di una Città meravigliosa di cui sempre troppo tardi si smetterà di insistere col parlare dei suoi aspetti più macchiettistici e risaputi. La colpa di tutto questo, se di ‘colpa’ si può parlare, va rintracciata in quel movimento culturale ed artistico guidato da un manipolo di fieri e scanzonati intellettuali che nell’ultimo decennio del secolo scorso, con l’ausilio di trasmissioni televisive ed altre iniziative diffuse a macchia d’olio successivamente anche in rete, forse vittime di quel berlusconismo persistente che ormai aveva cancellato ogni avvisaglia di ‘serietà’ nel nostro sistema culturale, si imbarcarono in un’impresa di sdoganamento che resta ancora una delle più complete vittorie che mai un movimento ideologico sia riuscito a conseguire sul suolo italiano, tanto che dalle sue radici ancora fioriscono in abbondanza frutti rigogliosi venerati come oggetti di culto da schiatte di infervorati giovinetti cui non pare vero di poterli esibire come trofei culturali. Che cosa sdoganarono questi figli diretti dell’Edonismo Reaganiano nella cultura italiana degli anni ’80? Il TRASH. Siamo ormai l’unico paese che, nonostante l’ingresso nel nuovo secolo, sia rimasto ancorato a un manifesto estetico che altrove attecchì senz’altro (si pensi agli inizi del giovanissimo Almodovar nella Spagna dei primissimi anni ’80), ma che si esaurì dopo una breve fiammata, necessaria forse per esorcizzare il panico del cambio di Millennio, e poi archiviata per sempre. Ecco, il Trash è l’ambito culturale entro il quale si sono mossi i Manetti Bros per realizzare il loro lungo (133 minuti) Musical sulla Camorra, appropriandosi da forestieri quali sono di un (sotto)genere ben preciso come la Sceneggiata napoletana, e sposandola all’immaginario delle videoclip dei cantanti Neomelodici di cui sopra. ‘Quando Gomorra incontra Grease’; ‘La risposta italiana a La La Land’: questi, più o meno, i titoli con cui la stampa ha salutato il film, sul cui esito nelle sale italiane si accettano scommesse. Ma al di là dei titoloni ad effetto, dov’è l’operazione ‘culturale’? Siamo sicuri che i Manetti Bros abbiano voluto ‘interpretare’ un genere, o si sono semplicemente limitati a ripercorrerne gli schemi, acriticamente, senza operare culturalmente alcunché? Le canzoni e la musica hanno anche una certa grinta (gli autori sono Pivio e Aldo De Scalzi, già collaboratori dei Manetti Bros e pluripremiati per Song ‘e Napule) e non c’è dubbio che il duetto/scontro finale tra il camorrista ‘pentito’ e il camorrista ‘cattivo’, un tempo amici per la pelle, possa vantare un raro e suggestivo spessore di analisi socio-antropologica su un fenomeno così complesso e atavicamente radicato come la malavita napoletana. Ma Ammore e malavita è un film. Per giunta in concorso a Venezia. E tra l’impostazione più fescennina che farsesca di situazioni comiche da Cinepanettone , il pedale dell’acceleratore sempre schiacciato a manetta (a ‘Manetti’…), e il conseguente caotico trambusto acustico delle troppe canzoni affastellate una appresso all’altra, il primo a farne seriamente le spese è il cinema. Ecco, dov’è il cinema in Ammore e Malavita? La risposta è: non c’è. O almeno, se c’è un cinema, è un cinema altrove già morto e sepolto, un cinema che ha di se stesso un’idea fin troppo grandiosa in quanto crede di essere un’operazione cólta su un fenomeno ‘basso’ come il Trash, ma che invece, applicando tecniche narrative e di intrattenimento spettacolare Trash a un prodotto che dal Trash non riesce a prendere le distanze restandovi impigliato e prigioniero, ottiene un sovrabbondante effetto di saturazione che finisce con lo stancare e con il perdere via via qualunque eventuale interesse. Tutto questo, beninteso, agli occhi di chi, scrivendo di cinema, debba rendere conto di quale e quanto cinema vi sia o non vi sia in un’opera cinematografica vista in un’anteprima stampa. Se altri, con altri occhi, si sono sganasciati a crepapelle e divertiti fino al delirio, sta a chi legge queste righe tirare le somme e decidere a chi dare retta.


CAST & CREDITS

(Ammore e Malavita); Regia: Manetti Bros; sceneggiatura: Michelangelo La Neve, Manetti Bros; fotografia: Francesca Amitrano; montaggio: Federico Maneschi; musica: Pivio e Aldo De Scalzi; interpreti: Giampaolo Morelli, Serena Rossi, Carlo Buccirosso, Claudia Gerini, Raiz, Franco Ricciardi; produzione: Manetti Bros; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, 2017; durata: 133’


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