X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Appunti da uno stato confusionale

Pubblicato il 17 giugno 2005 da Edoardo Zaccagnini


Appunti da uno stato confusionale

A volte una provocazione può fungere da enzima. Offrire a una situazione fertile di suo la possibilità di esplodere rumorosamente. Consentire a una realtà di palesarsi con clamore. Far saltare, da sola, le ultime inconsce resistenze ufficializzando uno stato d’essere fortemente avvertito, ma non ancora definito. Pare che la sortita ironica di Dario Zonta, il quale ha dichiarato “confusionali” gli stati del documentario in Italia, abbia contribuito a inscrivere ufficialmente la situazione dei documakers italiani dentro una crisi strutturale, congenita e profonda. Il misto di prontezza, entusiasmo e forse sollievo con cui questa provocazione è stata raccolta dagli autori, oltre ad aver dissolto gli ultimi dubbi sullo stato delle cose, sembra aver liberato gli stessi scrittori di storie reali da un’angoscia insopportabile e aver rafforzato i diritti e il morale di una cultura eterogenea, sbiadita dall’assenza di un passato ufficiale e da nessuna tradizione istituzionalizzata. Eppure c’è un presente artistico e tecnologico che è sotto gli occhi di tutti e l’atto IV del Romadocfest ha preso atto di fatti, parti, opere, persone e tempi convocando tutti quanti a un faccia a faccia sabatopomeridiano e franco. Risultato? Delirio, confusione, tensione, sarcasmo e bugie, ma anche verità, dialogo, comunque incontro. Neppure la Prof. Candalino, con le sue maniere dotte e un po’ teatrali, pur fornendo una lezione teorica di indiscutibile interesse, è riuscita a trattenere la rabbia, più o meno giovane, della frangia produttiva. La signora Ninì provava a citare Comollì sottolineando l’insistenza di costui nel dire che un documentarista, a differenza di un regista di finzione, prima che dirigere, “sviluppa una relazione”. Il silenzio della sala era fatto di riflessione e indifferenza e la professoressa con gli occhiali da professoressa era costretta a giocare la doppia carta Flaherty-Vertov spostando il primo sulla fascia dell’attesa e del pedinamento e il secondo nell’area dell’inquadratura e del dinamismo significante delle immagini. Ma l’atmosfera non cambiava nemmeno quando la Candalino lanciava un disperato ponte tra il cineasta sovietico degli anni venti e i princìpi del dogma scandinavo. Non accadeva nulla perché il pensiero degli autori presenti in sala andava verso la mancanza di un rapporto tra documentario e visibilità, tra non fiction e produzione. La rabbia degli artisti nasce dagli obsoleti, riduttivi e falsi schemi secondo cui il documentario annoierebbe. Mrs Candalino si arrendeva concludendo che il documentario è di frontiera perché ha radici ovunque e che è possibile scovarlo dentro le forme più impensabili. Un applauso di circostanza, stima e ringraziamento salutava l’onesta ed enfatica dottrina per dare il via allo scontro sul presente. Molla, goccia e scintilla venivano offerte dal dirigente Rai Parascandalo e dalla galeotta proporzione secondo cui il documentario sta al film come il saggio sta al romanzo. Quando il dirigente si affrettava ad inserire la sua frase in un contesto strutturale e non certo culturale del documentario, la sala era già esplosa in commenti di dissenso e mani alzate. Forti le accuse alla Rai lanciate dagli autori: l’assenza di uno spazio fisso per il documentario, (esistente invece in altri paesi) la mancanza, nello statuto di Rai Cinema, di un fondo per questo tipo di produzioni, la quasi impossibilità di vendere ai canali nazionali il prodotti documentario. Ma lo sfogo più emblematico e severo era quello di un deluso eppur sottile Gianfranco Pannone: “Io credo che per i dirigenti Rai vadano creati degli appositi corsi di formazione”. La risposta dello stato era soprattutto nelle parole (apparse sincere) di Giuliana Catamo, responsabile di programmi televisivi di Rai tre orbitanti intorno alla non fiction e presente al docfest in qualità di presidente della giuria. “Non dimenticate il problema dell’ascolto”, ha insistito la Catamo, “e dei conseguenti fondi ridicoli con cui certi tipi di spettacolo e programmazione sono costretti a combattere quotidianamente. Il problema è complesso e non va trattato in maniera arrabbiata e semplicistica. Un aspetto centrale è quello rappresentato dal pubblico, responsabile del fallimento di alcuni lavori, per altro bellissimi, proposti su Doc 3. Per ricreare un pubblico vanno organizzati progetti a medio o lungo termine e non è semplice in una logica di guadagno immediato come quella in cui comunque siamo immersi”. La situazione è sembrata grave e aggrovigliata a problemi di natura diversa. Per ciò ci piace concludere questa breve cronaca di un pomeriggio di scontro (forse) fruttifero con l’ottimismo di un rilassatissimo e talentuoso Erik gandini. L’autore di Surlplus e di altri lodevoli documentari ha così parlato: “In Svezia il dibattito incontra gli stessi problemi al punto che io penso quasi che il documentarista soffra di una malattia professionale. Ricordo, però, che quando i Beatles, ancora sconosciuti, cercavano una casa discografica gli veniva spesso detto che quel Rock con chitarra era destinato a durare ancora poco..”

[Giugno 2005]


Enregistrer au format PDF