Avatar

A vincere alla fine non sono i Na’vi (il popolo alieno che abita il pianeta Pandora), non è la giustizia, non è la Natura, non è il coraggio. Alla fine l’unico vincitore è James Cameron, il suo genio, la sua magia. E’ lui ad uscire vittorioso dalla sfida di Avatar. Un film-evento, un’esperienza irripetibile che solo il suo creatore poteva pensare. Spiegare e raccontare a parole l’ultima fatica (è bene dirlo, considerati i 15 anni tra gestazione e realizzazione) del regista di Terminator e Titanic è una missione complicata. Vedere Avatar è immergersi in un cinema puro, seppur ottenuto grazie a grandiosi effetti digitali. Puro perché realmente costruito sul concetto di visione, intesa come mezzo di percezione emotivo e come tramite per un’esperienza concreta e reale. Con la sua innovazione tecnologica, Cameron raggiunge la vera essenza del mezzo cinema, torna al suo primordiale scopo: mostrare la verità. E poco importa se ciò che viene rappresentato ha poco o nulla di realistico. Anzi. In questo modo Cameron supera il cinema stesso. L’autore rende verità concreta un universo fantastico attraverso una narrazione che, pur volando sulla forza dell’immaginazione, riesce a restituire la dimensione del reale. Grazie ad Avatar lo schermo non è più il terminale di un fascio di luce, il luogo visivo di un racconto, ma diventa finestra su un nuovo mondo (il pianeta Pandora), una finestra dalla quale lo spettatore può entrare in contatto con universo altro, viverlo, sentirlo. E’ questa l’esperienza, finora irripetibile, del film.
Senza dubbio, l’uso del 3D rappresenta un elemento fondamentale per tale riuscita. Come avevamo già notato commentando le sequenze del film proiettate in anteprima all’ultimo Noir in Festival di Courmayeur, il 3D non viene qui utilizzato solo ed esclusivamente per sorprendere e divertire il pubblico, ma acquista il valore di chiara cifra stilistica finalizzata all’ottenimento di un’estetica innovativa che rende la visione un’esperienza sensoriale. Non assistiamo ad oggetti che escono dallo schermo, che arrivano in faccia allo spettatore; ma siamo attori/spettatori in un impianto visivo che gioca in modo impressionante con la profondità, che avvolge il pubblico in un pianeta da scoprire secondo dopo secondo facendogli scordare di essere seduto sulla poltrona di un cinema. Ed ecco quindi che ci si ritrova letteralmente catapultati su Pandora, in un mondo magico popolato da uomini blu alti tre metri, da enormi volatili, da animali mai visti, da piante bioluminescenti, da gigantesche montagne sospese in aria. Un pianeta che presenta sorprese in ogni suo angolo e che nasconde una natura divina in ogni suo essere. Impressionante l’attenzione per il dettaglio di Cameron e dei suoi collaboratori: nulla è sullo schermo per caso. Il regista ha creato un mondo ex novo, ha inventato la lingua dei suoi abitanti, il loro modo di vivere, di sopravvivere; ha dato vita ad una fauna e ad una flora particolari; ha ideato una nuova religione. E se tutto questo appare sullo schermo con un realismo disarmante lo si deve soprattutto allo strabiliante uso degli effetti speciali della WETA, in particolare del performance capture. A differenza dei prodotti precedenti in cui veniva utilizzata questa tecnica, in Avatar essa riesce a restituire sui volti dei personaggi (virtuali) le emozioni e tutte le piccole sfumature dei volti degli attori. Un’impresa stupefacente che infonde ancor più realismo alla rappresentazione.
Il discorso sull’unicità di Avatar non può però fermarsi a questi ragionamenti. Non si può infatti mettere da parte la cifra spettacolare dell’opera. Pochi registi, se non nessuno, possono vantare un senso dello spettacolo come quello che possiede Cameron. Il film è un susseguirsi costante di scene d’azione, di battaglie, di affascinanti paesaggi ed è costruito su un ritmo martellante, dato da un montaggio veloce e sempre attento a non inficiare sulla compattezza del racconto, che non lascia pause all’interno della narrazione. Un racconto appassionante che nella sua facciata di science-fiction racchiude in sé i germi di tanta tradizione cinematografica americana, dal western, ai film sulla nascita dello stato americano (la Neytiri di Zoë Saldana è la Pocahontas del nuovo millennio), ai film bellici di natura epica (vedi Braveheart). Ma nonostante questo, tanta retorica, un messaggio ecologico eccessivamente esplicitato – non serviva un’esplicitazione verbale poiché esso vive già in ogni inquadratura – e nonostante la pochezza e la banalità di molti dialoghi (ma anche questo è Cameron!), il film rifugge il rischio di diventare un magnifico polpettone. Il fascino dell’impianto visivo e l’appassionante spettacolo mettono in secondo piano ogni piccolo difetto, anzi lo eliminano completamente.
Per tutti questi motivi, Avatar è un’opera imperdibile, un film epocale, che segna un punto di svolta nella storia del cinema, che apre la strada al secondo decennio del ventunesimo secolo.
E’ l’ennesima sfida vinta da James Cameron, prestigiatore dell’immagine, emozionante narratore, immenso filmmaker.
Leggi la Conferenza Stampa
(Avatar) Regia e sceneggiatura: James Cameron; fotografia: Mauro Fiore, ASC; montaggio: James Cameron, John Reflua, Stephen Rivkin; scenografie: Rick Carter, Robert Stromberg; musica: James Horner; interpreti: Sam Wothington (Jake Sully), Zoë Saldana (Neytiri), Giovanni Ribisi (Selfridge), Stephen Lang (col. Quaritch), Sigourney Weaver (Grace), Michelle Rodriguez (Trudy); produzione: 20th Century Fox, Dune Entertainment, Giant Studios, Ingenious Film Partners, Lightstor Entertainment; distribuzione: 20th Century Fox; origine: USA/Gran Bretagna; durata: 162’.
