Bastardi senza gloria
Iniziamo immediatamente con il dire che Inglourious Basterds, nuovo e atteso lavoro di Quentin Tarantino (tanto da “rubare” un posto all’interno della competizione ufficiale del recente Festival di Cannes), non è un remake tout court di Quel maledetto treno blindato (t.a. Inglorious Bastards, 1978), piuttosto un omaggio che rievoca temi ed atmosfere del film di Enzo Castellari (che appare in un piccolo cameo nella pellicola dell’amico), ma da cui si discosta piuttosto presto chiarendo che l’unica paternità è riconducibile al geniale regista americano (anche se negli ultimi tempi la vena artistica sembrerebbe essersi appannata).
I titoli di testa scorrono sullo schermo echeggiando i caratteri tipici degli Spaghetti Western e, al loro termine, si apre il primo dei cinque capitoli (l’epilogo è escluso): Once Upon A Time in Nazi-Occupied France. La struttura del film non è delle più semplici e gioca sull’incastro di almeno quattro storie che, incrociandosi in vari momenti, si ricongiungeranno alla fine. Il cinema dell’autore di Pulp Fiction (1994, da molti ricordato, giustamente, come uno dei film più importanti degli anni 90) è privo di rigidità, siano esse contenutistiche che inerenti la grammatica del mezzo. La sua sconfinata passione cinefila, unita al gusto di un citazionismo divenuto vero e proprio marchio di fabbrica, gli permettono di confrontarsi con qualsiasi tema, poco importa se totalmente di finzione o radicato a tracce di storia, senza stare a preoccuparsi della veridicità del dato o della ferrea schematizzazione in generi.
Capita così che in Inglourious Basterds Hitler trovi la sua fine seppellito da colpi di mitraglia, o che, tutti insieme, periscano in uno straordinario e visivamente splendido incendio, oltre al già citato leader della Germania nazista, Göbbels, Göring e Bormann. Se tutto il film ha il sapore di un lungo omaggio alla storia del cinema (disseminate qua e là ci sono tracce che solo chi ama e conosce la stagione dei B-movies italiana può riconoscere ed apprezzare), l’epilogo apocalittico colpisce sia per la sua valenza simbolica (l’incendio si scatena a causa dell’infiammabilità delle pellicole - il cinema diventa dunque l’unico mezzo in grado di riscrivere e sconvolgere la storia) che per l’effettiva bellezza, che ancora una volta mostra come Tarantino sia abile nell’uso della mdp. e nella costruzione di inquadrature che, echeggiando stili ed epoche diverse, restano memorabili per chi osserva.
Ritornando al principio, è corretto dire che non ci troviamo davanti al migliore cinema tarantiniano, quello per cui tutti si lasciano, a ben ragione, travolgere. Le lunghe (a volte interminabili) scene dialogate, per quanto perfette formalmente, stancano e stiracchiano un plot che avrebbe necessità di vivere su tempi narrativi nettamente più serrati. Insistenti, al contrario, sono le pause, tutte profondamente narcisistiche, molte abbastanza evitabili.
Da premiare il tentativo di affrontare un periodo storico molto particolare (quello della seconda guerra mondiale) lasciando trasparire la voglia di cercare un nuovo modo di approcciarsi e di raccontare gli eventi. Ma il gioco, benché affascinante, non riesce perché privo di sintesi, troppo fine a se stesso. E allora, se il film non convince completamente (cmq. un passo in avanti rispetto a Death Proof) meglio concentrarsi sulla già ricordata efficacia di certe sequenze e sull’abilità nel dirigere interpreti che regalano buone e, alcuni, ottime prove.
L’incontro con Brad Pitt, colui che meglio di tutti oggi incarna, insieme all’amico Clooney, il mito dello star system, diverte assecondando le aspettative. Pitt è un comandante piuttosto rozzo nei modi, che colleziona scalpi dei nemici e che mostra un carisma non sempre accompagnato da una profonda intelligenza. Tarantino si diverte a sovvertire il suo ruolo di sex symbol, consegnandogli un personaggio che di affascinante non ha proprio nulla. Accanto al divo americano merita una menzione Christoph Waltz, nei panni di un astuto e privo di pietà colonnello delle SS. In grado di giostrare la voce come solo i grandi interpreti sanno fare (e qui ancora una volta rinnoviamo l’invito a vedere il film in lingua originale per evitare di perdere quel notevole pastiche linguistico che caratterizza i personaggi e impreziosisce i duetti) a lui sono destinati i dialoghi più dissacranti e divertenti. Brava Diane Kruger ma Mélanie Laurent le ruba la scena, pronta a diventare una tra le attrici più interessanti della nuova generazione. Applaudito a Cannes (si ha l’impressione più per la stima nei confronti del suo autore che non per una effettiva ammirazione destinata al film), Inglourious Basterds si rivela dopotutto un piacevole intrattenimento, pur con qualche concessione alla noia, ed un film ben girato. Quando, però, Tarantino tornerà a farci divertire senza alcuna riserva, concedendoci il cinema, unico e geniale, di cui è capace?
(Inglourious Basterds) Regia, soggetto e sceneggiatura: Quentin Tarantino; fotografia: Bob Richardson; montaggio: Sally Menke; scenografia: David Wasco; interpreti: Brad Pitt (Lt. Aldo Raine), Mélanie Laurent (Shosanna), Diane Kruger (Bridget Von Hammersmark), Christoph Waltz (Colonel Landa), Michael Fassbender (Lt. Archie Hicox), Eli Roth (Donny Donowitz); produzione: Zehnte Babelsberg Film, A Band Apart Films; distribuzione: Universal Pictures International; origine: USA; durata: ‘160;