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Belzec

Pubblicato il 8 gennaio 2009 da Simone Isola


Belzec

Realizzato dal documentarista francese Guillaume Moscovitz, Belzec affronta il delicatissimo tema della Shoa, ombra lunga della storia europea sulla cui rappresentazione da tempo riflettono cineasti ed artisti. Il titolo deriva dall’omonima piccola città polacca, sede di un campo di sterminio che, dal marzo 1942 sino ai primi mesi del 1943, inghiottì circa 800 mila vite, quasi tutte di religione ebraica. I nazisti organizzarono capillarmente non solo l’uccisione di massa, ma anche l’occultamento delle prove di tali massacri; all’avanzare dei russi i cadaveri vennero bruciati, il campo demolito; vennero piantati un gran numero di alberi per nascondere ogni indizio, segno di quelle vite. Raccontare uno scenario del genere richiede molto tatto, la scelta di una forma allo stesso tempo partecipe ma non lacrimosa. L’autore decide quindi di limitare al massimo la sua presenza, mettendo in primo piano le testimonianze dirette o indirette degli attuali abitanti di Belzec, puntando con decisione sui ricordi, i pensieri, le tante storie che si intrecciano nei racconti dei sopravvissuti. Le interviste non sono brevi, l’autore lascia fluire con naturalezza le parole, non ha fretta; ci sono i bambini che spiarono i treni dei deportati che giungevano al campo; studiosi che hanno analizzato i pochi indizi rimasti ricostruendo scientificamente la disposizione degli edifici e delle fosse comuni. C’è infine il racconto straordinario della donna sfuggita alla cattura (all’epoca una bambina di soli sei anni), che si nascose per venti mesi tra la legna di un deposito. Vengono utilizzate anche lettere d’archivio, materiali diversi che ci mostrano l’estrema velocità del massacro, passato come un uragano sull’inerme cittadina. Moscovitz in contrappunto inquadra la natura verde e lussureggiante che oggi avvolge questi posti, con movimenti di macchina lenti, dolci, quasi materni. Questa bellezza ora è struggente, nasconde delitti inenarrabili ed inumani, e si carica di sinistri colori. Lo stile è molto semplice ma efficace, non teme ritmi lenti, anzi richiede, con una preghiera pronunciata a voce bassa, ma ferma, l’attenzione dello spettatore. Le parole scorrono su queste immagini naturali, che si caricano della memoria nascosta di Belzec. Una sosta necessaria in un’epocaa di suoni supersonici e immagini roboanti.

Regia: Guillaume Moscovitz; sceneggiatura: Guillaume Moscovitz; fotografia: Guillaume Schiffman, Stéphane Massis, Guillaume Genini, Carlo Varini, Malick Brahimi; montaggio: Lise Beaulieu, Marie Liotard, Claire Le Villain; produzione: VLR Productions


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