Bhutto

Certi film dovrebbero essere valutati più in base alla loro funzione che sul piano estetico. E’ probabilmente questo il caso di Bhutto, documentario di Duane Baugham e Johnny O’Hara sulla vita della due volte Primo Ministro del Pakistan Benazir Bhutto, assassinata nel 2007 in un attentato i cui autori non sono ancora stati trovati, ma che ha segnato la caduta definitiva della dittatura militare di Pervez Musharraf.
La “funzionalità” di Bhutto sta nel restituire lo spaccato di una storia che, dal Pakistan, arriva a toccare eventi di portata mondiale. Ripercorrendo le vicissitudini della “tragica” dinastia dei Bhutto è possibile capire delle fondamentali dinamiche soggiacenti ad alcuni degli eventi più determinanti del nostro secolo: la contesa indo-pachistana per il Kashmir, l’invasione Sovietica dell’Afghanistan e il conseguente supporto americano ai Talebani, fino alle estreme conseguenze dell’11 settembre e dell’attuale “lotta al terrorismo”.
La “saga” della famiglia Bhutto inizia infatti quando, nel 1957, il padre di Benazir – Zulfikar Ali Bhutto – diventa delegato del Pakistan alle Nazioni Unite, per poi fondare il PPP (partito del popolo pachistano) e giungere a ricoprire il ruolo di Presidente e Primo Ministro nell’arco degli anni ’70. Destituito, imprigionato e poi giustiziato in seguito al colpo di stato militare di Muhammad Zia-ul-Haq, Zulfikar lascia significativamente in eredità il suo partito alla figlia femmina Benazir, che dopo aver scontato a sua volta la prigionia e l’esilio riesce a insediarsi come Primo Ministro nel 1988.
Oltre alla lotta contro la dittatura la carriera politica di Benazir Bhutto è però segnata anche dagli scandali per corruzione che piovono sul suo partito e in particolare su suo marito Asif Ali Zardari. Tali scandali portarono all’esilio della politica e all’incarcerazione del coniuge. Dopo 8 anni di esilio, nel 2007, Benazir Bhutto torna in patria per sfidare la dittatura militare del generale Musharraf. Ma dopo poche settimane, e un attentato fallito, viene uccisa.
Non è difficile immaginare come questa potente famiglia pachistana, e la stessa vita di questa coraggiosa donna , abbiano intrecciato e spesso determinato alcuni degli eventi più rilevanti della seconda metà del ‘900. E Bhutto aiuta a capire alcune delle dinamiche che hanno portato il mondo intero allo stato attuale: in particolare il delicato momento di transizione in cui gli Stati Uniti decisero di appoggiare il colpo di stato di Muhammad Zia contro il padre di Benazir, colpevole di voler dotare il Pakistan della bomba atomica. Zia fu anche usato come alleato contro i sovietici che avevano invaso l’Afghanistan: i finanziamenti destinati al dittatore furono da lui passati ai Talebani , e anche se poi fu proprio Zia a dotare il Pakistan di un arsenale atomico, ormai la lotta contro i “rossi” aveva completamente assorbito ogni mira americana.
Sono questioni su cui non si potrà mai discutere abbastanza, e che rimangono tuttora sconosciute ai più. Per questo si è tentati di ritenere comunque meritevole un’opera che si propone di affrontarle. Ma a volte – è cosa arcinota – il come raccontare una storia arriva a influenzare in maniera determinante il cosa si vuole raccontare. Sorvolando sui patetismi alla Micheal Moore (vedi i figli della Bhutto che parlano del loro ultimo regalo di compleanno da parte della mamma), la vera ambiguità del film risiede nel colonialismo latente che si annida nello sguardo del narratore americano. Benazir è “bella e buona” perché lei e tutta la sua famiglia hanno studiato in America o in Inghilterra, c’è in lei un inevitabile mix culturale che la porta ad essere anche figlia di valori propriamente occidentali. Niente di male in questo, ma serpeggia sempre il dubbio che si sia voluta raccontare la storia di una paladina della giustizia digeribile per l’occidente, sorvolando su tutti gli aspetti oscuri che pur si annidano nella sua vita pubblica (per non parlare di quella del padre). O, se vengono toccati, sono altrettanto rapidamente liquidati come armi messe in moto dal regime contro i democratici, senza mai entrare nel merito delle accuse. Insomma, se si vuole creare una martire, bisogna pulire la sua vita da ogni macchia, e consegnare alla storia (quella del film e quella con la S maiuscola) un’eroina da film hollywoodiano. Benazir Bhutto era pachistana e il Pakistan era – nel bene e nel male – al centro del suo mondo. Però nel film l’urdu si sente solo nelle canzoni.
(Bhutto); Regia: Duane Baugham, Johnny O’Hara; montaggio: Jessica Hernàndez ; musica: Mader, Herb Graham Jr.; produzione: Duane Baugham, Mark Siegel, Arleen Sorkin ; distribuzione: Mikado Film ; origine: Stati Uniti, 2010 ; durata: 115’.
