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Bisturi e cartoons



Bisturi e cartoons

Televisione che vai, televisione che meriti. Pare assurdo scrivere di bisturi in un articolo dedicato all’animazione, sia pure essa considerata da certuni una forma di espressione artistica da prendere e sezionare bene a ritmo di cesoie, eppure fa sempre un certo effetto leggere di notiziole come queste: prese in causa da un successo forse più immaginato che sperato veramente, le conduttrici del programma di Italia 1 Bisturi tuonano contro il mondo dell’etere e i suoi benpensanti asserendo che, tra gli altri programmi, più violenti di loro sono anche determinati prodotti di animazione. Apriti cielo. Tacendo del fatto che la spettacolarizzazione di interventi chirurgici una volta identificati come fisicamente ed eticamente necessari per fronteggiare patologie serie, ed ora merce di sicuro share per una società prigioniera delle apparenze, sia stata moooooooolto ironicamente deprecata anche negli Stati Uniti dal venerando Los Angeles Times (in parole povere: ci prendono in giro anche all’estero), l’affermazione di Irene Pivetti getta una luce inquietante anche sulla sua presunta professionalità. Perché, adesso, l’assunto limpido quanto l’acqua (o come un paziente al netto di bisturi), che compito preciso di un giornalista sia quello di documentarsi prima di scrivere e/o affermare qualcosa, ci fa traballare la certezza che anche una professionista seria e preparata quanto lei, col richiamo del successo, preferisca non vedere e/o non considerare quanto invece è, è stato e sempre sarà limpido come un bisturi sterilizzato e chiaro come un camice da chirurgo. Affermare infatti che certi cartoon siano violenti, soprattutto nel periodo in cui le sale cinematografiche stanno per battezzare il disneyano Koda, fratello orso, una sorta di risposta allo Spirit Cavallo selvaggio della DreamWorks e tutto imperniato sul complesso rapporto uomo-natura-fratellanza-conoscenza del diverso, francamente spiazza un po’, se non altro per quello stridulo suono di polpastrelli pivettiani che si sentono inesorabilmente scivolare sulla superficie di cotanto specchio teleigienico retto da una Platinette sugli scudi perché, per lei, “Bisturi fa rabbia in quanto spettacolarizza la bellezza”. Non è nostra intenzione, in questa sede, discutere sulla legittimità più o meno miliardaria di una programmazione che ama far vedere in questi termini il sangue in TV solo per creare lo scandalo o valorizzare un tipo di filosofia che già Parmenide, ai suoi tempi, tanti e tanti secoli fa definì come filosofia del non essere. Qui conta solo ricordare che, a livello di animazione, se non ci si vuole rendere conto di quanto questo sterminato mondo sia così vasto da imporre agli stessi esercenti la consapevolezza di saper discernere tra prodotti specifici per ogni fascia di età, la colpa non è certo del prodotto animato in sé. In Giappone la produzione è diversificata in questi termini, con autori e Case di Produzione addirittura qualificate in generi adatti solo ad un determinato tipo pubblico, a sua volta cosciente (perché maturo? Perché consapevole? Perché colto quanto basta?) di questa differenziazione ... Se qui da noi si continua a voler fare di tutt’erba un fascio per giustificare lo spettacolo di una sala operatoria aperta alle vacuità dell’essere la colpa non sarà mai, non potrà mai essere certo solo di Evangelion o Kenshiro...

[marzo 2004]


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