Buio. Me, maybe

Fin dal titolo, Buio. Me, maybe tenta un approccio fotografico alla messa in scena: sarà lo spartito delle ombre a raccontarci, nel suo metro di confidenze e sghignazzi facili a voltarsi in singhiozzi, la visione centellinata della vita di due amiche.
Non teme il buio, né il silenzio, la regista e autrice Marianna di Mauro, che guida le due attrici Romina Bufano e Chiara Papanicoulaou in una struttura drammaturgica altalenante: si inizia giocando sui suoni mozzi e corpulenti delle protagoniste, una significante insignificanza alla Finnegan’s wake; si passa per qualche strizzatina d’occhio all’ironia metateatrale e per il latente erotismo di certo Genet; ci si sofferma rimuginanti su una struttura dialogica vagamente beckettiana, soprattutto quando tra le due amiche sembra cristallizzarsi la sordità e l’antagonismo, come in una versione tutta femminile (e meno clownesca) della coppia Vladimiro-Estragone; si conclude con le tinte tragiche del trauma infantile, subito riscattate da un finale sornione.
Un simpatico centone del Novecento teatrale, insomma, poggiato sulle grucce incerte di un testo inzeppato di stereotipi, di sogni domestici affogati nelle lavatrici, soldati, "ma tu ci pensi alla morte?", dildi svolazzanti quanto basta per sentirsi provocatori.
Figuriamoci, di spettacoli del genere se ne vedono tanti, e qui c’è anche l’apprezzabile preparazione delle due attrici a ridurre i danni: quel che rende davvero fastidiosa la visione, però, è la boria di un testo tendente più al compiacimento di sé che all’urgenza dell’espressione.
Beckett, Joyce, Genet, ma per raccontare cosa? Una storia da condividere, o soltanto le proprie letture teatrali?
Di M. Di Mauro, regia di M. Di Mauro, con R. Bufano, C. Papanicolaou
