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BUONGIORNO NOTTE

Pubblicato il 9 settembre 2003 da Edoardo Zaccagnini


BUONGIORNO NOTTE

Le lacrime di Sonia (Maya Sansa) cadono sopra il suo volto, lei è lì al buio, dietro una porta, ascolta insieme ai suoi compagni il disperato messaggio di Moro a Paolo VI, non riesce a trattenerle quelle lacrime, sono necessarie. Non credo sia la pietà a condurla in tale stato, è qualcosa che viene prima, una emozione a cui non si può resistere, e basta la sola voce di Moro per sconvolgerla, cioè la negazione dell’immagine nella sua rappresentazione. Insomma diviene cieca all’ideologia per aprirsi ad uno sguardo altro in sé, ed è faticoso farlo, tortuoso e tanti sono i demoni che si presentano nella mente, evocati dal passato e dal presente (le immagini dei sogni, i ricordi del padre, i suoi compagni, l’amico Ernesto). Ma questo è un altro discorso. Mi fermerei su quelle lacrime, apice di un’emozione istintiva, in qualche modo connessa con la dedica al padre all’inizio del film. Da quel momento in poi Sonia non ha ancora deciso con la testa, non ha ancora pensato di non uccidere, però il suo corpo dice che non lo farà, per farlo dovrebbe negare i suoi sentimenti, le sue emozioni, dovrebbe cancellare se stessa, gettarsi nella morte per negare la vita. Bellocchio è in solidale vicinanza con quel sentimento espresso da Sonia, Bellocchio è lei, pur se cerca di mischiare le carte (l’autore appare nella seduta spiritica, e suo figlio Pier Giorgio interpreta Ernesto), forse per un senso di pudore. Questa vicinanza tra i due esprime, col cuore e con l’intelligenza, la distanza dallo schema edipico dell’uccisione del padre, risalente nella sua poetica al primo film I pugni in tasca (1965). Oggi mi sembra non voglia uccidere nessuno l’autore, nemmeno simbolicamente, al contrario attraverso Sonia (ripetiamo: una parte con cui identificarsi) manifesta il desiderio di una conciliazione, di una conversione amorosa verso il padre. Il percorso segreto di conversione si costruisce sia con la figura di Sonia che al tempo stesso con una serie di riferimenti cristiani (il crocefisso sopra il letto dei brigatisti, il prete che benedice il covo, l’ultima cena dei brigatisti e per finire la “resurrezione” di Moro). La religione, anzi il cattolicesimo è un campo di un tensione diretto in due direzioni nel film, da una parte lo sberleffo e la rabbia verso la gerarchia ecclesiastica in quanto rappresentante di un potere, dall’altra una certa attrazione con cui imbastire un discorso controverso sull’innocente assassinato (Cristo-Moro-Padre). Già in un intervista rilasciata ad Alberto Crespi sull’Unità, in occasione dell’uscita de L’ora di religione, Bellocchio parlava dell’assurdo delle fede avvicinandolo all’arte. Ovviamente ai brigatisti gli è appiccicato addosso il segno della croce nell’ultima cena prima di uccidere Moro per indicare il loro fondamentalismo, la loro dedizione completa ad una causa, a quello che chiameremmo il loro integralismo. Sono degli apostoli della violenza, con un senso religioso della loro missione omicida, infilzati e bloccati dal loro folle compito, quindi non c’è spazio per una ulteriore descrizione del loro comportamento. Il film nella sua stratificazione onirica e conseguente ambiguità lascia discutere specie sotto il profilo politico, e delude chi si aspettava di sapere o scoprire qualcosa in più sulla vita privata dei brigatisti. Certo è un film politico, non si può negare, però per avere una luce in più credo bisogna pensarlo come fosse un film autobiografico (si ricordi la dedica al padre), solo così riusciamo a capire sino in fondo la messa in discussione del principio dello Stato di non cedere alle richieste dei brigatisti. La via d’uscita dalla linea della fermezza era possibile secondo Bellocchio, si poteva interrompere il circolo vizioso della violenza, che finisce per unire paradossalmente i difensori delle istituzioni e i terroristi nell’unanime intenzione di non salvare Aldo Moro. Salvarlo significava, e ha significato per noi spettatori, seguire il filo delle emozioni tra Sonia e la vittima. La “resurrezione” dello statista democristiano è tutta umana, non corrisponde ad un piano divino, è il frutto di una strategia creativa opposta alla logica necessaria della morte, è un affidarsi alle emozioni, sentimenti e desideri che richiamano naturalmente alla vita. L’arte, la religione e la stessa vita, sembra si dica in Buongiorno notte, sono territori in cui la creatività umana supera il dominio della ragione.

[settembre 2003]


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