L’intrusa
Presentato alla Quinzaine des réalisateurs della passata edizione del Festival di Cannes, dove fu accolto con una lunga e trionfale ovazione, L’intrusa è il secondo lungometraggio di Leonardo Di Costanzo (già regista de L’intervallo). Sembra incredibile che qualcuno riesca a fare un film così distante dalle consuete e costrittive modalità produttive del nostro Paese capace di scatenare un simile entusiasmo all’estero, per poi finire ignorato in patria, come purtroppo quasi certamente accadrà anche in questo caso. Girato con mezzi ridotti e con uno stile “poveristico” che lo fanno assomigliare a quei film provenienti dalle cinematografie minori delle zone più dimenticate del mondo visti ai Festival negli anni ’80 (un titolo per tutti: Una stagione ad Hakkari, di Erden Kiral, visto a Venezia nel 1983), L’intrusa è ambientato nella “Nazione nel ventre della Nazione” (come Pasolini definiva Napoli), in quelle zone della periferia cittadina molto simili ai luoghi più dimenticati della Terra, in cui la modernità arriva filtrata dai cellulari e dalla televisione, ma la vita quotidiana si svolge secondo codici pagani e primitivi, dove, parafrasando al contrario Molière, “ci sono ancora bambini”. L’intrusa del titolo è Maria, una donna che arriva a sconvolgere il lavoro di Giovanna, una volontaria impegnata in una sorta di “comunità di recupero” votata al tentativo di restituire all’infanzia un senso sociale di appartenenza attraverso lo stimolo di una creatività ludica e gioiosa altrimenti soffocata dal duro clima di delinquenza che da quelle parti intride anche i muri e l’asfalto delle strade. Con la scusa di cercare rifugio per sé e i suoi due bambini, Maria nasconde clandestinamente nella casa concessale da Giovanna il marito camorrista, poi scoperto e catturato dalla polizia nel corso di un blitz che turba il sereno svolgimento delle attività del centro. Il volto al contempo dolce e austero di Raffaella Giordano, che affronta il ruolo di Giovanna come fosse una moderna Antigone, contrasta con la tragica e carnale bellezza di Valentina Vannino (Maria), in un teso e vibrante duetto a distanza, che lascia tuttavia ampio spazio alla spontaneità tutta partenopea dei numerosi bambini del film, filmati da Di Costanzo con l’amore di un papà che intende mostrarceli così come sono, senza mai scadere nella cartolina (basta osservarla, Napoli, senza togliere o aggiungere alcunché, per restituirne l’autentica straordinaria naturalità), adombrando con fermezza priva di qualsiasi retorica il sogno che possano restare così per sempre. E il giardino destinato ai giochi e alle feste della comunità diventa il teatro dove rappresentare l’innocenza, la speranza, l’onestà, la bontà d’animo di una popolazione costretta quasi senza saperlo a dipanare il filo dell’esistenza sul bilico che separa bene e male, vita e morte, legalità e illegalità. Piccolo grande cinema italiano, che potrebbe regalarci una sorpresa al termine della competizione della Quinzaine, con l’onore di un premio che forse otterrebbe l’effetto di scuotere la torpida indifferenza in cui l’Italia lascia languire il suo cinema più bello e vero, espressione lucida e autentica del suo enorme campionario di storie e di sentimenti.
(L’intrusa); Regia: Leonardo Di Costanzo; sceneggiatura: Leonardo Di Costanzo, Maurizio Braucci, Bruno Oliviero; fotografia: Helene Louvart; montaggio: Carlotta Cristiani; musica: Marco Cappelli, Adam Rudolph; interpreti: Raffaella Giordano, Valentina Vannino, Marcello Fonte; produzione: Tempesta, Carlo Cresto-Dina; origine: Italia, 2017; durata: 95’