Captain America. Civil War

Nel recensire un prodotto spettacolare inequivocabilmente indirizzato a un pubblico che mai leggerà il suo articolo, il “critico” può scegliere di limitarsi ad analizzarlo come di consueto secondo i propri canoni estetici strenuamente difesi e sostenuti in sede cartacea o nei dibattiti verbali, sotto il profilo artistico e filmico, senza rammaricarsi di esprimere un parere del tutto ininfluente, quand’anche positivo, sull’accoglienza della planetaria platea di teenagers per i quali il prodotto è stato progettato, messo in cantiere, realizzato e finalmente distribuito nelle sale di tutti i continenti. Oppure può, il “critico”, tirare i remi in barca, cioè deporre la penna e arrendersi di fronte al gigantesco ambaradàn di merchandising, concorsi a premi, spin-off tra videogiochi, fiction televisive, graphic novel e figurine adesive allestito attorno all’indiscussa centralità del prodotto già durante la fase della sua pre-produzione, sperando di non essere tacciato dai cinefili più duri e più puri di spocchia, boria e malcelato passatismo intellettuale. Ma poiché il cinema è “anche” divertimento, specie quando risollecita l’adolescente che in molti permane con prepotenza anche ben oltre l’età dei primi amorazzi, chissenefrega delle pulci e delle dietrologie, e ci si conceda il lussuoso piacere di indulgere in questo film bellissimo, terzo di una serie che fra tutta la scuderia messa in pista dalla Marvel conferma il proprio standard qualitativo decisamente elevato rispetto a una media comunque già buona. Captain America. Civil War è il terzo titolo, a tutt’oggi, della serie del vendicatore a stelle e strisce, fin dall’episodio d’esordio (Captain America. Il primo vendicatore, diretto nel 2011 da Joe Johnston) marcatamente segnata da un maggiore e più riflessivo spessore di contenuti rispetto ai titoli dedicati agli altri innumerevoli campioni della folta supersquadra di eroi mascherati di casa Marvel. Questo terzo, ambizioso capitolo affidato, come il precedente Il Soldato d’Inverno, alla regia di Anthony e Joe Russo, raduna un affollato manipolo di colleghi in calzamaglia (si fa per dire, visto che l’armamentario si è nel frattempo arricchito di armature hi-tech, tutine in neoprene o in altri sofisticati materiali elastici, termici, invisibili e comunque variamente imponderabili). E per esigenze di spettacolo, tutte altamente onorate con generosità di funamboliche sequenze d’azione magistralmente orchestrate e abbaglianti effetti speciali - pur con diretti riferimenti alle realissime cronache belliche odierne - di gran lunga migliori della troppo lunga e in fondo visivamente prevedibile distruzione di New York nel finale di The Avengers, li divide in due fazioni contrapposte: chi è d’accordo a lasciarsi controllare e schedare i propri superpoteri dai governi delle maggiori potenze mondiali, e chi no. Come è naturale in caso di conflitto tra gente che in fondo si vuol bene come amici che si conoscono da sempre e motivati tutti dall’unica, nobile causa di mantenere il mondo al sicuro, scontri verbali e superscazzottate sono il pretesto per guizzi di sceneggiatura che farciscono di sapida ironia e frecciatine taglienti ogni occasione di combattimento, a tutto vantaggio di una visione doppiamente esaltante e divertita, senza mai, tuttavia, svaccare nel pecoreccio o in battute ad effetto come certe sbobbe firmate Emmerich o Michael Bay. Re incontrastato di salacità è come sempre l’Iron Man di Robert Downey jr., protagonista della sequenza più cult, quella in cui, estorti i diritti alla Sony, la Marvel si impadronisce, reimpostandolo e aggiornandolo in chiave nerd, di uno Spiderman tutto nuovo che promette faville per il futuro, insieme a un’inedita e procace Zia May, folgorante cammeo di Marisa Tomei… Il lato certamente più interessante è che mentre il quesito etico su da che parte stare pone seri dilemmi ai numerosi protagonisti del film (davvero non s’erano mai visti tanti superfusti e supersgarze in un unico titolo; provando a elencarli si rischia, come con i Sette Nani, di dimenticarsene sempre qualcuno: oltre naturalmente a Captain America, Iron Man, e Spiderman, sfilano sullo schermo in ordine sparso la Vedova Nera, Falcon, War Machine, Occhio di Falco, la Pantera Nera, Visione, Ant/Giant-Man, e perfino Deadpool) secondo i tormenti interiori e i principi morali di ciascuno, via via il tono del film si fa più autunnale, crepuscolare. Fino ad assumere una caratura wagneriana che proietta in controluce dietro le sagome muscolari dei protagonisti una malinconia quasi dolente, che aumenta la sensazione di un’epicità più matura, adulta, come se film del genere possano ormai sostituire – come forse è giusto che sia – quei libri che una volta ci scortavano da ragazzini fino all’ingresso nella maggiore età già preparati ad affrontare la vita e le sue prime scelte importanti. E da “critici” ormai uomini fatti, questo ci resta al termine della visione: il ricordo di una giovinezza che continuiamo ancora a sognare, e che riviviamo con il cinema, lasciando ad altri pupazzi, adesivi e t-shirt.
(Captain America. Civil War); Regia: Anthony e Joe Russo; sceneggiatura: Christopher Markus, Stephen McFeely; fotografia: Trent Opaloch; montaggio: Jeffrey Ford, Matthew Schmidt; musica: Henry Jackman; interpreti: nomi degli interpreti principali Chris Evans, Robert Downey jr., Scarlett Johansson, Sebastian Stan, Anthony Mackie, Don Cheadle, Jeremy Renner, Chadwick Boseman, Paul Bettany, Elizabeth Olsen, Paul Rudd, Emily VanCamp, Tom Holland, Franck Grillo, William Hurt, Daniel Brühl; produzione: Marvel Studios; distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures; origine: Stati Uniti d’America, 2016; durata: 147’
