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CASSHERN

Pubblicato il 28 novembre 2004 da Mazzino Montinari


CASSHERN

Nella storia del cinema resterà memorabile il momento in cui il grande Charlot gettò la maschera e tornò a essere Charlie Chaplin, non più il personaggio chiuso nel limbo dello spettacolo ma l’uomo che prese a cuore le cose di questo mondo rinunciando al travestimento. Il riferimento è al discorso finale ne Il grande dittatore. Non tutti sono concordi nel giudicare quella scena come l’espressione di un cinema maturo, capace di andare oltre lo schermo e di ridisegnare i confini che separano la fiction dalla non fiction. Chaplin saltò il fossato, abbandonò l’immagine che si era costruito da sé e ne assunse un’altra, forse meno fantastica ma colma di autenticità.
Dovendo parlare di Casshern, opera prima in concorso a Torino del regista giapponese Kiriya Kazuaki, sembrava opportuno deviare l’attenzione verso qualcosa di molto lontano, di radicalmente opposto. Se infatti Chaplin parla al mondo mettendo a rischio se stesso, rinunciando alla propria immagine e alla sacralità dello schermo, Kiriya Kazuaki nel visionario Casshern compie un’operazione inversa: si autocompiace del proprio talento, ammira la sua opera con tanto di discorso finale sulla guerra e la pace, sull’amore e l’odio, sulla vendetta e il perdono.
Casshern è stato presentato come un film che apre a un cinema diverso, “un post-cinema”, come un “blockbuster che nega se stesso”, come un “film dolente”. Ma di dolente c’è soltanto l’esaltarsi per un cinema che non fa pensare e che usa ma non evoca valori come quelli di pace, perdono e amore. Un cinema che si specchia e vede solo ed esclusivamente se stesso.
La storia è piuttosto semplice. In un mondo futuro e annientato dalle guerre, uno scienziato sta lavorando a un progetto sulla rigenerazione delle cellule umane. L’obiettivo è duplice, da un lato salvare l’amata moglie da un male incurabile, dall’altro fornire all’umanità una nuova opportunità per ricominciare a vivere in pace. Nel frattempo il figlio dello scienziato muore in guerra. A questo punto accade qualcosa di sorprendente. Nella fortezza dove si conducono le ricerche prendono nuova vita alcuni corpi che erano stati immersi in un liquido con il presunto potere di rigenerare le cellule umane. Solo quattro dei resuscitati si salvano alla violenta reazione dell’esercito. Quattro zombie con dei poteri superiori che per vendetta si propongono di sterminare l’umanità. A questi “neo-sapiens” si contrappone il figlio dello scienziato, anche lui tornato in vita dopo essere stato immerso nel liquido. Da qui in poi sarà un massacro dopo l’altro, perché chi lascia dietro di sé una scia di sangue sarà sempre rintracciato e, a sua volta, annegato nel sangue. Chiunque tenti di compiere un’azione volta alla pace sarà irrimediabilmente ricacciato nell’orrore della morte.
Come anticipato, il finale apocalittico è stato dotato di un lungo discorso retorico, degno coronamento di un film che parla solo a chi si crogiola di immagini estetizzanti e che del mondo reale non sa che farsene, se non usarlo come un futile spunto per una sceneggiatura.
Dunque, per tornare da dove eravamo partiti, Chaplin fece un discorso all’umanità compiendo un percorso che lo catapultava dal cinema verso il mondo. Forse oggi per alcuni “neo-cinefili” integralisti questa irruzione sembra impraticabile e priva di senso, meglio narcotizzarsi con una bellezza artificiale piuttosto che avvelenarsi l’occhio con le sporcizie del mondo. Come dire... guardare ma non toccare.

Cast & Credits:

regia, montaggio: Kiriya Kazuaki; sceneggiatura: Kiriya Kazuaki, Suga Shotaro, Sato Dai; fotografia: Kiriya Kazuaki, Morishita Shozo; scenografia: Hayashida Yuji; costumi: Kitamura Michiko; effetti speciali: Kimura Toshiyuki; musica: Sagisu Shiro; suono: Yano Masato; interpreti: Iseya Yusuke, Aso Kumiko, Karasawa Toshiaki, Terao Akira, Kanako Higuchi; produttore: Wakabayashi Toshiaki, Miyajima Hideshi, Ozawa Toshiharu; produzione: Casshern Partners; distribuzione: Mikado; formato: 35mm, colore; durata: 142’; origine: Giappone 2004.

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