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Centochiodi

Pubblicato il 31 marzo 2007 da Alessandro Izzi


Centochiodi

Centochiodi non è solo l’annunciato commiato dal cinema di finzione di Ermanno Olmi (che, d’ora in poi, ha annunciato, si occuperà solo di documentari), ma è anche e soprattutto, un poderoso, sentito, a tratti commovente commiato dall’intera cultura dello spettacolo italiana.
Il regista italiano, autore in passato di capolavori epocali della storia del nostro cinema e recentemente tornato sugli schermi con opere di intatta giovinezza stilistica (Il mestiere delle armi e, ancor più, il folgorante Cantando dietro i paraventi), sembra sentirsi ormai del tutto estraneo al meccanismo di consumo delle immagini di una realtà, come la nostra, ormai definitivamente televisivizzata e colonizzata fin nell’intimo. La guarda non con disprezzo, ma con una distanza triste ed incerta, colma di nostalgia, rimpianto e accettazione, un po’ cercando di immedesimarvisi, un po’ desiderandola, un po’ deridendola come il Carlo Delle Piane dell’interessante (e sotto molti aspetti autobiografico) episodio di Tickets.
E l’unica soluzione, per un autore che, nonostante tutto sembra avere ancora molto da dire sul presente non solo italiano (Il mestiere delle armi è, paradossalmente, forse il film italiano che meglio ha saputo riflettere sulle contraddizioni dell’11 settembre), sembra chiudersi in una contemplazione solitaria e richiusa su se stessa.
Il protagonista di quest’ultima fatica olmiana, dopo un passato trascorso sui libri, nell’ostinata ricerca di una qualche forma di verità che non sia solo un’enunciazione, ma un vero e proprio modo di vivere e pensare, si ritira dal mondo con un gesto luterano (inchioda al suolo cento libri) e incontra, nel suo percorso ascetico tra le rive estreme del Po’, quelli che sembrano essere la sintesi e la sublimazione dei vari personaggi del suo cinema precedente (di quello che va dal superbo L’albero degli zoccoli al pur sempre denso La leggenda del Santo bevitore).
Opera per molti aspetti riepilogativa di tutto un percorso artistico ed umano, Centochiodi resta appesantita da alcuni simbolismi troppo smaccatamente dichiarati (il protagonista viene da tutti chiamato Cristo ed è aiutato nella costruzione della propria abitazione da dodici piccoli apostoli), ma, insospettabilmente, aggiorna il proprio messaggio cristiano su una visione non certo salvifica. Il Cristo olmiano scende, sì, tra gli uomini dopo le tentazioni del deserto (e il deserto è qui l’oggi tutto, finanche l’ambiente universitario) e si avvicina agli umili che abitano le casupole del delta del Po’, alle loro placide conversazioni in un dialetto che sa ancora d’altri tempi, alle loro bevute di invitanti bicchieri di vino rosso, ma non riesce a portare davvero redenzione né per se stesso, né per gli altri. Nella moderna società dove la politica usa le confessioni religiose per perseguire i suoi loschi fini e dove la religione stessa partecipa al gioco dei potenti con il suo scontro di dogmi tra loro inconciliabili, non c’è più un messaggio spirituale che possa davvero essere ascoltato. Il Gesù storico che aveva scacciato i mercanti dal tempio e che aveva portato il messaggio rivoluzionario dell’amore universale è diventato esso stesso oggetto di vendita all’interno di un nuovo e ben più vasto mercato. La sua morale d’azione (sempre incarnata in tutti i capolavori del maestro) è diventata essa stessa libresca, la parola viva s’è fatta scritta, ed è ora letta da persone sempre più cieche. La Fede muore nell’eccesso di predicazioni, nel ’bla bla’ di un mondo che ha disimparato il valore del silenzio vero. Per questo il cristo del film scompare senza lasciare traccia, si dissolve in quel paesaggio senza dove e senza quando che è il delta del Po’, si confonde in un ambiente che tra mare, fiume e terra è esso stesso confuso, al limite dell’indicibile. Centochiodi ha momenti di intenso lirismo. In esso si coglie spesso l’infinito respiro della Natura, mentre l’antica leopardiana poesia degli umili si ammanta di una precisa nostalgia di se stessa dal momento che quegli umili cominciano a non esistere più. L’ultimo personaggio olmiano, l’ultima figura partorita dalla mente e dal cuore di quello che resta il nostro ultimo maestro più anziano, finisce allora per aggirarsi nel cuore di un canto che è museo di se stesso. E qui sta il limite (rispetto ai due film precedenti), ma anche il fascino di un film tanto importante quanto triste.
D’ora in poi la firma di Olmi accompagnerà solo documentari. Il regista, dopo un viaggio filmico tra i più folgoranti, compie il ciclo e ritorna alle sue origini, agli inizi. E un cerchio si chiude. Fino in fondo, umano.


CAST & CREDITS

(Centochiodi); Regia e sceneggiatura: Ermanno Olmi; fotografia: Fabio Olmi; montaggio: Paolo Cottignola; musica: Fabio Vacchi; interpreti: Raz Degan (Il professorino), Luna Bendandi (La ragazza del pane), Amina Syed (Ragazza indiana); produzione: Cinema11undici, Rai Cinema, con il contributo del MiBAC; distribuzione: Mikado; origine: Italia, 2007


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