Cesare deve morire
Aveva forse ragione Vittorio De Sica quando diceva che in Italia ci sono 60 milioni di attori e che non servono i professionisti? L’affermazione, anche se ovviamente paradossale e provocatoria, ci torna alla mente nel vedere l’ultimo film di Paolo e Vittorio Taviani, Cesare deve morire, vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino. Ci torna alla mente vedendo i provini che il regista teatrale Fabio Cavalli fa ad un gruppo di detenuti del carcere di Rebibbia, per mettere in scena il Giulio Cesare di Shakespeare, vedendo il talento, la rabbia, l’istrionismo e l’inventiva di un gruppetto di uomini di età e provenienza diverse, condannati per motivi che vanno dal contrabbando di sigarette all’omicidio, chi che nel frattempo é già tornato in libertà, chi con su scritto sulla scheda personale : fine pena mai.
I fratelli Taviani, dopo il non esaltante passaggio sempre a Berlino de La masseria delle allodole, cambiano completamente registro rispetto alla trasposizione letteraria in costume e scelgono la strada ancora per loro inesplorata della docu/fiction, seguendo per mesi i provini, le prove, le prove generali e poi lo spettacolo interpretato dai detenuti e diretto da Cavalli. Per realizzare il progetto, passano molto tempo dietro le sbarre del carcere e si inventano una serie di soluzioni estremamente interessanti per narrare al tempo stesso, in tutta la sua potenza, la piece di Shakespeare, ma anche, sottotraccia, non tanto le vicende degli interpreti, quanto la condizione stessa del detenuto, affidandosi alle loro stesse voci e definizioni, talvolta geniali come quella di «guardatori di soffitti», per il tempo costretto a passare senza altro da fare che giacere sulla branda.
The play is the thing, diceva il Bardo, e chiaramente tutto il film si articola sulla struttura ferrea della potenza sheakesperiana, sempre attualissima, movimentata verbalmente dai diversi dialetti regionali degli interpreti, in bocca ai quali la definizione di Bruto e di Antonio di «uomini d’onore» assume una valenza tutta particolare, sia carceraria che mafiosa. Come piccole interferenze, si inseriscono nel testo le reazioni degli interpreti, che talvolta usano le parole per mandarsi messaggi impliciti sulle loro dinamiche di potere, talvolta si fermano, sopraffatti da associazioni di pensieri inaspettati per chi non é abituato troppo a pensare. Accanto alla recitazione potente ed efficacissima del testo di Shakespeare, queste schermaglie verbali appaiono stranamente forzate e quasi inopportune, in quanto recitate con la medesima impostata intensità, come se gli interpreti non fossero più in grado di uscire dai personaggi, dal loro stile recitativo, dalle loro parole. Il paradosso é dunque che il linguaggio violento e arcaico della pièce fluisca con grande naturalezza, mentre la pesantezza della recitazione emerga negli aspetti della vita reale. Il risultato appare stridente per lo spettatore e viene da chiedersi se questo effetto di straniamento brechtiano rovesciato sia voluto o meno, se sia emerso da solo e sia stato solo in un secondo tempo accolto con gioia dai registi.
Girato per la maggior parte in un bianco e nero allo stesso tempo elegantissimo e allucinato, il film si snoda narrativamente attraverso continue soluzioni spaziali che esplorano tutti i possibili luoghi del carcere, alternando prospettive esterne e interne, punti di fuga e vicoli ciechi. Il colore esplode fortissimo e inaspettato soltanto sul palco, quando lo spettatore cinematografico si fonde con quello teatrale, e gli attori si rivelano per quello che sono, quando vengono circondati dalle guardie per rientrare in carcere.
"La vita non è che un ombra che cammina, un povero attore che si agita e si pavoneggia per un’ora sul palcoscenico e poi non si sente più; è una storia raccontata da un idiota, piena di suono e di furia, che non significa nulla" (W.S.).
(Cesare deve morire) Regia e sceneggiatura: Paolo e Vittorio Taviani; fotografia: Simone Zampagni; montaggio: Roberto Perpignani; musica: Giuliano Taviani, Carmelo Travia; interpreti: Cosimo Rega, Salvatore Striano, Giovanni Arcuri, Antonio Frasca; produzione: Raikaos Cinematografica; distribuzione: ; origine: Italia; durata: 76’.