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Child of God

Pubblicato il 31 agosto 2013 da Giovanna Branca

VOTO:

Child of God

Che cosa fa di un uomo un mostro è una domanda che si sono posti in tanti, dall’origine dei tempi, in tutti i campi della scienza e dell’arte. Ma la domanda più importante, e a cui è molto più difficile rispondere, è cosa fa di un mostro un uomo. Perchè Lester Ballard, serial killer necrofilo protagonista di Child of God di James Franco (tratto dal romanzo omonimo di Cormac McCarthy) resta sempre e comunque un essere umano, un figlio di Dio, come recita il titolo.
Orfano, privato di tutti i suoi averi, vagabondo delle foreste del Tennessee in compagnia solo del suo fucile Lester Ballard non sa come rapportarsi al resto del genere umano. E’ solo, figlio di un mondo violento e disperato in cui i padri stuprano le figlie e i bambini crescono nella miseria e nell’abbandono, sudici e malnutriti.
Nel suo adattamento del lavoro del grande romanziere americano James Franco decide però – probabilmente anche per questioni di economia della storia – di tralasciare quasi del tutto i contatti che il suo protagonista ha col mondo che lo circonda, quegli spaccati che McCarthy ci dà della vita del Tennessee rurale degli anni Sessanta. Il regista – che si ritaglia un piccolo ruolo nel gruppo di linciatori di Ballard nel finale - si concentra più che altro sulla solitudine di Lester, sull’escalation divisa in tre atti (come nel libro) che lo porta a diventare da svitato del villaggio ad assassino seriale braccato dai suoi simili. Sulla sua disperata ricerca di un contatto “umano” che parte dai peluche che vince ad una fiera per approdare alla necrofilia quando trova e porta con sé il cadavere di una donna in una macchina. Nell’incendio della catapecchia in cui vive verrà bruciato anche questo mostruoso feticcio del contatto umano, così che Ballard comincia a procurarsi i cadaveri in altro e prevedibile modo.
Come nel romanzo, il film lascia fuori campo tutti i suoi omicidi ad eccezione di uno, facendo solo intendere ciò che sta accadendo attraverso il moltiplicarsi delle persone che scompaiono, per poi svelarci improvvisamente la grotta dove giacciono le decine di corpi delle vittime di Lester.
Interpretato magnificamente - molto sopra le righe, ma forse è necessario per un personaggio del genere - da Scott Haze il protagonista ci è mostrato soprattutto nella sua fisicità; insistendo sulla fatica immane del trasportare e spostare i corpi e gli oggetti che da vagabondo porta con se.
Rispetto a McCarthy, Franco sembra però provare ancor più empatia verso questo ultimo degli ultimi: ce lo mostra piangere (mentre significativamente il romanzo parla, solo in un breve momento in cui Ballard sta scappando, di versi di fatica simili al pianto), dialogare affettuosamente con i suoi animali di pezza, sussurrare parole d’amore al corpo della prima donna che porta con sé. Se questa scelta eccede forse nell’intento di “spiegare” un uomo del genere, rende però la sfida lanciata dall’opera di partenza ancora più incisiva. Chi riesce a guardare Lester Ballard e vedere un uomo? Con il suo sguardo in macchina al principio del film è proprio questo che il protagonista chiede allo spettatore. Di vedere in lui, con le parole di McCarthy, “nient’altro che un figlio di Dio, come voi e come me, forse”.


CAST & CREDITS

(Child of God) Regia: James Franco; sceneggiatura: James Franco, Vince Jolivette; fotografia: Christina Voros; montaggio: Curtiss Clayton; musica: Aaron Embry; scenografia: Eric Morrell; interpreti: Scott Haze (Lester Ballard), Jim Barrack (Deputy Cotton), Tim Blake Nelson (Sheriff Fate), Brian Lally (John Greer); produzione: RabbitBandini Productions; origine: Stati Uniti; durata: 104’.


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