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CineCult - Intervista a Maria Cristina Mastrangeli - Anatomia di un film: "Paganini Horror"

Pubblicato il 3 dicembre 2018 da Carlo Dutto


CineCult - Intervista a Maria Cristina Mastrangeli - Anatomia di un film: "Paganini Horror"

La rubrica CineCult finalmente si tinge di rosa, anzi....un rosa virato al rosso sangue, grazie all’incontro con l’attrice Maria Cristina Mastrangeli [nella foto di Andrea Galeazzi]. Romana di nascita, parigina d’adozione da qualche anno, Maria Cristina è infatti una delle protagoniste femminili (ricordate la scena del volto schiacciato?) del cult-movie Paganini Horror , diretto da Luigi Cozzi, che abbiamo intervistato in apertura di rubrica a novembre (QUI intervistato per CineCult). Continuiamo quindi il focus su questo film diventato di culto nel mondo attraverso la diretta testimonianza di chi ha contribuito a plasmarlo e a renderlo un oggetto che tuttora spopola in rassegne, convention e incontri - non solo di horror e fantascienza - mondiali. Scuola di recitazione alla Duse Studio di Francesca de Sapio, con insegnanti quali la stessa de Sapio, Susan Strasberg e Geraldine Baron, tutte e tre membri a vita dell’Actors Studio, Maria Cristina Mastrangeli ha recitato, tra gli altri, in Mery per Sempre, di Marco Risi; in Corsica, di Nico Cirasola; nel Paprika di Tinto Brass; ne Il Grande Blek, di Giuseppe Piccioni, rimanendo ’fedele’ a Luigi Cozzi - pur avendo poi intrapreso una carriera teatrale con Scaparro e Michalkov, anche accanto a Marcello Mastroianni - in quanto ha recitato anche nei suoi ultimi due film, Blood on Méliès’ Moon e I Piccoli maghi di Oz, che sarà proiettato il prossimo giovedì 6 dicembre alle ore 20:30 presso il Cinema Savoy nell’ambito della 38a edizione del FantaFestival. L’attrice romana appare anche nel bel documentario-omaggio brasiliano al regista, FantastiCozzi.

1) Parliamo di Paganini Horror, cosa ricordi di come sei stata scritturata per la parte? Cosa ti ha attratta dello script?

Luigi mi selezionò su foto presso la mia agente di allora. La prima cosa che mi disse quando ci siamo incontrati fu: "Ma sei molto più giovane di quel che sembri sulle foto! Incredibile, di solito le attrici cercano l’effetto contrario!". Ci venne da ridere a tutti e due. Credo che, a partire da quella risata abbiamo entrambi deciso di lavorare insieme. Ciò che mi aveva deciso a lavorare nel film era l’attrattiva di interpretare una vera cattiva. Ci sono delle scene in cui la manager che interpreto sbraita contro tutti e per di più in inglese! Lo so non è molto professionale, si dovrebbero scegliere i film e non i ruoli, ma in questo caso è la verità!

2)Prima, durante e dopo le riprese avresti mai immaginato che il film sarebbe diventato negli anni un cult movie in tutto il mondo? Quali secondo te le ragioni di tanto successo?

Oh no, non credo siano fenomeni prevedibili, anche perché quando sono costruiti a tavolino, spesso poi si prendono delle "scuffie" (come si dice a Roma)! Però c’era nel film un’atmosfera professionale e divertita allo stesso tempo, da parte di tutti, attori e tecnici. Credo che in qualche molto sia quello che poi è rimasto nel film e che lo ha fatto perdurare negli anni.

3) C’era, in quei film, un lavoro artigianale che non troviamo più nelle grandi produzioni di oggi, cosa funziona secondo te a livello cinematografico e cosa invece tralasceresti senza pensarci?

Se dico la pellicola sono out?

4) Al tempo eri anche una spettatrice di film horror? Se no, lo sei diventata nel tempo? 

Di horror no, con pochissime eccezioni, perché sono fan di David Cronenberg da sempre. Ma di film fantastici, sì. Ricordo ancora le prime edizioni del FantaFestival a Roma al Cinema Capranica, che purtroppo non esiste più. I primi film di Hong-Kong con gli attori che "volano" durante i combattimenti! Ma d’altra parte credo che Luigi consideri il suo Paganini un film fantastico travestito da horror, no?

5) Tu sei un’attrice di stampo teatrale, studi alla Fersen e al Duse Studio, in scena con i grandi del teatro, tra cui Scaparro e Guicciardini, cosa ricordi della tua recitazione per Paganini Horror?

Sono convinta che non esista una differenza tra la recitazione teatrale e quella cinematografica. O meglio non credo sia compito dell’attore decidere "la cifra" di recitazione. Poi "recitazione", come diceva Eleonora Duse, è una gran brutta parola! Gli insegnamenti importanti che ho ricevuto vengono da Francesca de Sapio, Susan Strasberg e Geraldine Baron. Tutte e tre fedeli agli insegnamenti di Lee Strasberg e del Metodo dell’Actors Studio. Premia sempre il sentire del momento e la presenza nel corpo delle emozioni, su qualsiasi altra tecnica. È la ricerca di questa organicità che, a mio avviso, si deve studiare e che è più complessa da raggiungere. Il resto è allenamento banale, come la voce e la dizione, in teatro; o trucchi che s’imparano facilmente, come muovere più o meno il viso secondo l’obiettivo, al cinema. Su Paganini, siamo tutti sopra le righe, ma tutto il film lo è. Fa parte del suo "charme"!

6) Sul set, hai aneddoti che ricordi particolarmente del lavoro con Cozzi e con i tuoi colleghi, la troupe o il set, la ’Casa del Sol’ a Ciampino?

Ricordo che la villa mi faceva davvero paura. Che Daria (Nicolodi, ndr), oltre ad essere una bravissima attrice, fu una partner attenta e gentile con me, così come con gli altri attori. Anche con Pietro Genuardi e Pascal Persiano (QUI intervistato per CineCult) ci fu subito un bel feeling. Luigi dava poche indicazioni, ma precise, mi sono sentita in sicurezza a lavorare con lui. Due aneddoti li voglio raccontare. Contraddicendo quel che dice Luigi, nel film c’è almeno una scena splatter: la morte del mio personaggio. Le viene letteralmente schiacciata la testa, tra due muri di energia invisibile, se ricordo bene. Bisognava prendere un calco del mio viso per poi realizzare la maschera per gli effetti speciali. Sono claustrofobica e fu una vera tortura stare sotto le bende col gesso, con solo due cannucce nel naso per respirare. Mi sembrò durasse un’eternità. Spero che oggi abbiano metodi più rapidi! L’altro è un po’ osé. Secondo i clichés, comunemente accettati, dei film di genere, le attrici hanno spesso tenute improbabili. Per una scena nella villa avevo delle scarpe coi tacchi a spillo e una gonna in similpelle strettissima. E così vestita, dovevo correre a perdifiato dietro un’auto, inquadrata da dietro, col viale davanti a me a perdita d’occhio. Quindi io corro con tutte le mie forze, malgrado la gonna impedisse il movimento. Poi, stranamente, sento la falcata che si libera e un gran silenzio della troupe alle mie spalle. La gonna si era praticamente aperta in due, di dietro… Anche lì finì con una risata generale. C’era un’atmosfera di gran rispetto e professionalità sul quel set.

7) Sei tra i pochi attori che ha seguito Cozzi anche nei suoi due ultimi film, Blood on Méliès Moon e I piccoli maghi di Oz, ci descrivi questo connubio artistico? Ci racconti Luigi Cozzi sul set, fuori dal set, come regista e come amico?

Come ti dicevo, Luigi è parco di indicazioni agli attori. Ma ha la capacità di incanalare le proposte nella sua visione, con piccoli aggiustamenti, sempre molto delicati. E quando una presa gli piace lo dice apertamente. Ciò è rassicurante per gli attori come me a cui piace abbandonarsi e tentare di essere creativi. Non mi è mai successo invece che mi dicesse che una presa non gli fosse piaciuta. Ma non perché io sia particolarmente brava! Ma perché semplicemente lui la rifà, dando piccole indicazioni fattuali sulla posizione o sulla durata, lasciandoti il tempo di elaborarla meglio. Il nostro è un connubio artistico. Passare del tempo con lui significa anche impregnarsi di pezzi di storia del cinema italiano. Ultimamente sono rimasta un po’ al Profondo Rosso Store (per un’intervista a Luigi. Non sei il solo!). Ed ecco che passa Vince Tempera, il compositore di Paganini Horror e di Piccoli Maghi. Con me c’era lo sceneggiatore Andrea Galeazzi, ed ecco che si scoprono connessioni tramite Dario Argento. Insomma, l’intervista si è interrotta non so quante volte, ma sono uscita con un sacco di storielle inedite e interessanti. Ma Luigi è anche una persona discreta. Ho avuto modo di conoscere un po’ la sua famiglia perché era sul set negli ultimi due lavori e anche accompagnando Blood on Méliès Moon al BIFF di Bruxelles due anni fa.

8) Numerosi sono i registi con cui hai lavorato, da Marco Risi a Francis Girod, ci racconti qualche ricordo dei loro set?

Oh, in realtà, al cinema, sono tutti piccoli ruoli, ma sempre facendo da spalla a protagonisti maschili bravissimi, sono fortunata. Sono fiera di aver lavorato in Mery per sempre di Risi, è un bellissimo film che ha fatto epoca. Sono la psicologa del carcere, che si fa violentare dal personaggio interpretato da Claudio Amendola. È una scena molto intensa, che mi sembra ben riuscita. In Un ami parfait di Girod ho un ruolo un po’ più consistente, sono una ricercatrice svizzera-italiana che dà delle informazioni segrete al protagonista, Antoine de Caunes. È un film poliziesco, di fattura classica. Girod era un galantuomo di vecchio stampo, un vero militante di sinistra, sul set vedeva ogni dettaglio. Il mio personaggio aveva delle incredibili "pappardelle", cioè delle battute lunghissime, piene di dettagli tecnici. Fin dal provino Girod mi disse che non avrebbe sopportato che cambiassi neanche una virgola!

9) Sei anche in Vajont, di Renzo Martinelli, sulla tragedia del 9 ottobre 1963, chi interpreti?

In Vajont interpreto la moglie di uno dei protagonisti, interpretato da Daniel Auteuil. È uno degli ingegneri responsabili del crollo della diga. Le scene con la moglie, a casa, mostravano i suoi scrupoli, i dubbi. Il film credo durasse al primo montaggio più di quattro ore, la distribuzione non ne volle sapere. Al montaggio definitivo sparirono tutte le scene dell’ingegnere con la moglie. Così lui sembra un vero farabutto senza rimorsi ed io una comparsa ben vestita al suo braccio durante una festa! Non c’è nemmeno nel mio curriculum questo film, non so da dove l’hai pescato!

10) E con Silvio Soldini?

Con Soldini invece ho lavorato nel suo ultimo lavoro, Il colore nascosto delle cose. Una sola scena, girata in piano sequenza, tra madre e figlio, al cimitero dove è sepolto il padre adottivo. Sono la mamma del protagonista maschile, Adriano Giannini. Nella storia è un figlio di primo letto che ho avuto quando ero giovanissima, ma comunque mi mancano una manciatina d’anni per essere credibile, allora mi hanno invecchiata un po’ col trucco, coi vestiti… Ho adorato la trasformazione e il set. Soldini è di una gentilezza straordinaria e allo stesso tempo sa esattamente quello che vuole, da indicazioni precise e pertinenti, sul percorso e non sul risultato, le migliori! È un regista della mia generazione, mi piacciono molto i suoi film, è stato bello avere finalmente l’occasione di lavorare con lui. Però un rammarico ce l’ho: conciata com’ero, nessuna chance di far colpo su Adriano Giannini. Ma non si può avere tutto!

11) Nel tuo carniere spunta anche il nome di Nikita Michalkov...

Con Michalkov invece ho lavorato in teatro. È stato il mio primo lavoro importante. E resta il più importante per me. Come fai ad aver di meglio che sei mesi di prove con un maestro come lui, poi repliche tutto esaurito… a Roma, Parigi, Torino… accanto a Marcello Mastroianni… impossibile. Ma magari ti racconterò di questo un’altra volta, è tutta un’altra intervista!

12)In Francia hai fondato Octogone, ci racconti di cosa si tratta e quali spettacoli produci e interpreti?

Octogone nasce nel 1998, con me c’erano altri attori-registi, come Richard Sammel, Stephane Oertli… e Anna Romano che adesso ha una compagnia a Bruxelles e con cui collaboro ancora. Dopo sei anni di avventure collettive, Octogone è diventata la struttura con cui porto avanti i miei progetti teatrali, la presidentessa è la scrittrice italiana Bianca Silvestri. In ogni caso, da sempre, Octogone si occupa di teatro contemporaneo, che sia frutto del lavoro di un autore o di una drammaturgia a partire da materiali diversi. Il lavoro drammaturgico sulle connessioni tra memoria collettiva e memoria individuale, l’appello a dei compositori contemporanei per le colonne sonore o la musica presente sulla scena, l’attenzione alle arti plastiche oltre all’affermazione di una volontà costante d’accompagnare la creazione artistica a delle azioni pedagogiche con lo scopo di un vero allargamento del pubblico, sono delle costanti nella ricerca di Octogone. Per chi è curioso degli spettacoli c’è un sito, sia in francese che in italiano: www.octogonelab.eu

Showreel di Maria Cristina Mastrangeli:



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