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Cioccolato e libertà, ovvero della democrazia dei costumi

Pubblicato il 28 gennaio 2010 da Giampiero Francesca


Cioccolato e libertà, ovvero della democrazia dei costumi

“E’ utile che vi siano differenti esperimenti di vita e che la validità di modi di vita diversi sia verificata nella pratica quando lo si voglia, che vi sia ogni più ampia libertà di svolgere ogni attività inconsueta affinché col tempo emergano chiaramente quelle che meritano di diventare consuetudine” John Stuart Mill

Scelta, democrazia, arbitrio. Da sempre l’uomo si interroga su cosa sia, davvero, la libertà. Decine, centinaia di filosofi, sociologi, pensatori si son interrogati sul significato profondo di questa parola, sui suoi limiti, sulle sue degenerazioni. Oggi, molti di noi, tendono a credere che il nostro sistema, la nostra democrazia sia la forma di contratto sociale più libera possibile. Ancor di più, molti identificano gli Stati Uniti, la dolce terra di libertà, come la vera e più sincera patria del moderno arbitrio umano. Ma è davvero così indubitabile la nostra libertà? Siamo così sicuri di saper riconoscere la possibilità di scegliere? Siamo certi di riuscir a vedere un bivio, quando questo ci si pone davanti?

La “musica più odiosa” suonata da Reitman è in fondo un arpeggio di questi bivi e possibilità, scelte e dilemmi, posizioni impopolari e visioni del mondo contrarie all’etica comune. Le decisioni, le azioni, le vite stesse dei protagonisti di Thank you for smoking, Juno e Up in the air suonano così come un inno e, al tempo stesso, come un monito. Solo chi si rende conto di avere la possibilità di scegliere è davvero libero. Nick Naylor, Juno MacGuff, Ryan Bingham hanno deciso di scegliere il loro destino, hanno guardato in faccia la strada più facile, più comoda, più politicamente corretta e hanno deciso di non seguirla. Perché “la libertà non sta nello scegliere il bianco o il nero, ma nel sottrarsi a questa scelta”. Sottrarsi a questa scelta, percorre la propria via però non è cosa così banale. Nonostante infatti, tutti i protagonisti di Reitman, si muovano all’interno di una società libera e democratica le loro decisioni risultano spesso contrarie all’etica e al costume condiviso e vengono, per questo, malviste. Se è vero dunque che “la società umana, così come gli individui, diventano qualcosa grazie alla libertà”, è anche vero che, attraverso subdoli e ambigui escamotage, la società tende a costringerci su una singola via, nascondendoci le possibili alternative. E’ lo stesso sistema democratico, parafrasando John Stuart Mill nel suo Sulla libertà, ad uniformare la massa, cancellando man mano la genuinità di ogni singoli individuo e privandolo quindi della libertà.

Un paradosso evidente nelle pellicole di Reitman che il breve discorso di Jeff Megal, abile produttore cinematografico di Thank you for smoking, manifesta in modo efficace. Mentre infatti il produttore e Nick Naylor discutono su come convincere i giovani a fumare, nonostante questo sia dannoso per la loro salute, Jeff imbriglia il suo interlocutore con una semplice frase: “la gente può decidere da sola, non spetta a me decidere per gli altri”. Ecco ridotta in poche parole l’essenza di un sistema. Ognuno è libero di scegliere, ammesso che si renda conto di poterlo ancora fare. Solo davanti alla spoglia sala operatoria Juno MacGuff sente di poter scegliere. E sceglie, anche lei, la sua via. Così come Ryan Bingham decide, fiero, di riprendere i suoi aerei e ripartire. In questo le pellicole di Reitman sono un vero inno alla libertà, a quella più alta e pura, ed ad un sistema che, per quanto imperfetto, permette a molti di trovare la propria strada. Quel tipo di libertà che ben definisce il filosofo Isaiah Berlin: “L’essenza della libertà è sempre costituita nella capacità di scegliere come si vuole scegliere e perché così lo si vuole, senza condizionamenti o intimidazioni, e nel diritto di esser impopolare, di schierarsi per le tue convinzioni per il solo fatto che sono le tue”. Nel discorso di Nick Naylor all’udienza del sottocomitato per il tabacco Reitman sembra richiamare quasi esplicitamente queste parole. “E’ compito di ogni buon genitore metter in guardia i propri figli da tutti i pericoli del mondo cosicché, da grandi, possano decidere da solo” dice Naylor, prima di rispondere al ridicolo senatore conservatore pronto a metterlo alle strette sul suo stesso figlio, “se veramente vuole una sigaretta, gli comprerò il suo primo pacchetto”. Ecco la scelta impopolare, lo schierarsi con la propria concezione di libertà, il vedere (e far vedere) il bivio lungo la via. Non contano gli sguardi sbigottiti dei presenti o quello sdegnato del senator Ortolan Finisterre, ciò che conta è la libertà di decidere, per Naylor tanto quanto per suo figlio. Lo stesso spirito che anima Ryan Bingham, pronto, in un aeroporto perso chissà dove negli Stati Uniti, a ripartire per un nuovo viaggio. Le vicende di Up in the air gli hanno dimostrato come una famiglia, gli affetti, le persone care sono la vera forza che ti sorregge nei momenti difficili. Ma Ryan sorride, dello splendido riso beffardo di George Clooney, e prende il suo ennesimo aereo. Senza rimpianti, senza paure, libero, intimamente sicuro della sua scelta. Una scelta personale, di vita, come quella di Juno MacGuff (ipocritamente utilizzata come icona per una campagna antiabortista). Ancora una volta Reitman sceglie e fa scegliere la posizione più difficile, più scomoda, sgombrando il campo da luoghi e scelte comuni.

Il lobbista a cui non bastano né la cioccolata, né la vaniglia, perché “quello che conta è la libertà, e la scelta, quando si tratta di gelato”, resta comunque l’immagine più forte del cinema di Reitman. Un’immagine che ha la forza di ricordarci che “se tutti gli uomini meno uno avessero la stessa opinione non avrebbero il diritto di far tacere quell’unico uomo”. Purtroppo però, per essere quell’uomo, bisogna sempre ricordarsi di avere la possibilità di scegliere.


Leggi la recensione a Tra le nuvole

e l’articolo di approfondimento Sul filo del rasoio


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