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codice 46

Pubblicato il 19 maggio 2004 da Andrea di Mario


codice 46

Un uomo, una donna, a Shanghai, in un futuro prossimo definito da un “dentro”, la città ultramoderna, e un “fuori”, il post-terzo mondo. Una contrapposizione di topografie solo per compiacere, con una fotografia netta, accompagnata da ritmiche world music. Un film alla Wenders (ancora, nel XXI secolo!) perpetuato da un regista inglese: la peggiore delle maledizioni. La fotografia è buona, gli attori sono bravi, c’è una storia d’amore e delle metafore. Ciò che non va giù è proprio il modo di penetrare questi elementi e fare in modo che si attacchino a qualcosa che gli restituisca vita, immaginazione, passione: il film procede con un distacco liricheggiante che non porta se non alla ripetizione e alla noia. Tutte le cose di questo mondo sembrano facile digestione per Winterbottom, il quale frulla letteralmente i grandi interrogativi del mondo contemporaneo con la leggerezza di un inserto settimanale. Basta togliere il velo e chiarificare la metafora del film per dimostrare questo. Lui è un uomo in grado di rovistare nella mente delle persone che gli si parano davanti. Trova Lei, si innamorano (Lei ha lo stesso codice genetico della madre di Lui) Il loro amore galeotto e fuorilegge in una società di schiavi del profitto e della tecnologia viene smascherato due volte. Nella prima viene annichilita la memoria di Lei, nella seconda quella di Lui. Questo matrimonio non s’ha da fare. Alla fine Lei, con un velo sulla testa, come la Madonna, guarda l’orizzonte: ce la farà il genere umano a rinascere senza di loro?

[maggio 2004]

regia: Michael Winterbottom, sceneggiatura: Frank Cottrell Boyce, montaggio: Peter Christelis fotografia: Marcel Zyskind, Alwin Zuchler, interpreti: Tim Robbins, Samantha Morton, produzione: Revolution Film, distribuzione italiana: Fandango

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