Codice Genesi

Nonostante tutto, malgrado gli spazi immensi che si aprono allo sguardo assieme a piatte vie di fuga e alla ricerca di una Fede, Codice Genesi è una pellicola che si interessa più che altro dell’oppressione, oltre che della possibilità di travalicare quest’ultima, per un percorso che ha portato i due fratelli gemelli Albert e Allen Hughes a realizzare un’opera altamente apprezzabile, dopo dieci anni di pausa cinematografica seguita al deprecabile From Hell.
È basata su di una sceneggiatura del giornalista Gary Whitta questa pellicola che si incunea con lenta inesorabilità fin dentro l’animo umano (individuale e collettivo insieme), tagliando in due un’America spezzata, seguendo il suo protagonista Eli (Denzel Washington) in un viaggio solitario verso Ovest. Con sé l’uomo ha l’ultimo esemplare al mondo della Bibbia, libro per il quale da anni sta cercando un posto e delle persone che siano degne di ospitarlo assieme al potere che quelle scritture racchiudono, trent’anni dopo la conclusione dell’ultima guerra planetaria, dopo che svariati sopravvissuti hanno dato fuoco a tutte le copie conosciute di quell’opera, secondo loro colpevole di aver scatenato il conflitto. Ma quel testo antico, la ’Sacra Bibbia di Re Giorgio’, è ancora talmente prezioso che vi è un uomo, il crudele Carnegie (Gary Oldman), che vuole impossessarsene a ogni costo, ben conscio di quanto esso possa essere fondamentale al fine di dominare il cuore e il cervello dei deboli, in un mondo che non ha più memoria di ciò che è stato.
Il Nulla che avanza, quindi: l’apocalisse al seguito della catastrofe si sparge lungo una tranquilla distesa attraversata da improvvise folate di efferata violenza. Un Tutto, questo, che fa molto cinema americano: nello specifico il genere prediletto oltreoceano, ossia quel mito fondativo che è il western, attraverso il quale Codice Genesi mette in atto l’eterno scontro tra Natura e Cultura, dove si uccide per nulla, con l’Uomo che è regredito a una condizione pressoché primitiva. Ma Eli, come un novello pioniere alla ricerca di una lontana frontiera da raggiungere (una meta ovviamente sia fisica che esistenziale), cercherà di essere d’aiuto affinché possa concretizzarsi un progresso che faccia breccia nelle coscienze di chi finalmente potrà ascoltare parole nuove.
Ciò che però si fa maggiormente notare e apprezzare è il distacco dell’occhio che tutto guarda, tra l’altro mantenendo un certo mistero e virando l’immagine, in particolare, verso un grigio cinereo e altri colori sbiaditi per gran parte del film, come il giallo arido che domina il deserto. E un ulteriore distanziamento si realizza grazie all’ironia che si fa sentire in vari momenti, rendendo meno tetra, ma non per questo più innocua, la materia rappresentata. Mentre le scene d’azione sono come brevi e pungenti schegge che, però, non rappresentano vuote esibizioni di se stesse, divenendo parti di una struttura che risulta, perciò, alquanto equilibrata. Perché in Codice Genesi regna il silenzio, accompagnato da una pregevole colonna sonora che non diviene mai insistente, a tratti anzi aiutando a creare una calma che ha del mistico.
L’intero discorso religioso assume poi una valenza più ampia che non appesantisce inutilmente la pellicola. In proposito risultano interessanti, seppure nella loro semplicità, gli opposti punti di vista, a riguardo dell’utilizzo della Bibbia, tra gli antagonisti Eli e Carnegie, due figure che vivono tra convenzionalità e sottile gioco recitativo messo in scena da due grandi attori. Entrambi i personaggi, tra l’altro, appartengono al passato che precede la Guerra, fatto che rende loro comprensibile l’importanza di quel libro e, generalmente, della Parola in quanto tale, capace di organizzare e strutturare interi sistemi di condotta e di vita. Ma solo uno dei due sente l’urgenza di trasmettere un sapere che gli è ormai proprio e di ristabilire una comunicazione al fine di ricreare una collettività da una massa di individui sparsi e lontani (come accade con l’eroe-antieroe de L’uomo del giorno dopo, il Portalettere interpretato da Kevin Costner). E qui, in particolare, grazie all’importanza data alla Memoria, si sente soprattutto l’eco dell’atto di ribellione contro un potere repressivo messo in atto dal François Truffaut di Fahrenheit 451, affinché nessuna cultura debba soccombere.
(The Book of Eli); Regia: Albert e Allen Hughes; sceneggiatura: Gary Whitta; fotografia: Don Burgess; montaggio: Cindy Mollo; musica: Atticus Ross; interpreti: Denzel Washington (Eli), Gary Oldman (Carnegie), Mila Kunis (Solara), Ray Stevenson (Redridge), Jennifer Beals (Claudia), Michael Gambon (George), Frances de la Tour (Martha), Tom Waits (L’ingegnere), Malcolm McDowell (Lombardi); produzione: Silver Pictures, Dark Castle Entertainment, Alcon Entertainment; distribuzione: 01 Distribution; origine: USA, 2010; durata: 117’; web info: sito ufficiale.
