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Colpi di fulmine

Pubblicato il 27 dicembre 2012 da Alessandro Izzi
VOTO:


Colpi di fulmine

Colpi di fulmine va esattamente là dove il cinepanettone non aveva mai osato andare: indietro, al tempo del suo stesso concepimento.
A guardarlo al cinema, dove per lo più si trova ormai proiettato in digitale, ti dà l’impressione di un film il cui autore abbia preso una macchina del tempo per tornare indietro a caccia di paradossi. E te lo immagini, il buon Neri Parenti, mentre mette in posa i padri e le madri del suo cinema per questa foto di rito fatta in modo meno frettoloso del solito: gruppi di famiglia in un interno cinema accogliente e meno greve del previsto.
Estremo sberleffo di un cinema anziano, eppure sempre giovane, il film di Neri Parenti si presenta al proprio pubblico come una botte di vecchio vino d’annata che, però, contiene un rosso frizzantino buono più per le osterie.
Si concia strano il nuovo cinepanettone. Indossa vesti che non si confanno tanto a quel che c’è in giro. In mezzo ad una distribuzione strana che quest’anno ha fatto scendere in frak tanto cinema d’autore (Loach, Redford, Ang Lee, presto Leconte) se ne sta col suo vestito buono, non kitsch, ma neanche elegante, portato comodo con tanto di pantofole ai piedi.
Per un attimo hai l’impressione che Neri Parenti si sia tolto dalle scarpe i sassolini del suo modo di far cinema. Sgombrato l’orizzonte dal bisogno di far cassa e quindi meno preoccupato del solito di tirarsi dentro più pubblico possibile, ha fatto, all’improvviso, il cinema che gli andava di fare.
In due episodi ha messo quel che gli piaceva.
Nel primo ha dato briglia sciolta al suo cavallo di razza, Christian De Sica. Come a dirgli: “Fai quel che vuoi, io ti vengo dietro con la macchina da presa”. Ne è venuto fuori un saggio di cinema improvvisativo, scorretto come sempre, aperto, ad ogni passo, alle contaminazioni con un gusto altro più corrivo, meno stinto. Il cinepanettone che tutti potevano aspettarsi calato nel contesto classico della maschera che indossa un’altra maschera. Così De Sica, con gli anni maschera di se stesso, indossa i panni del prete e si immerge nei paradossi dei giochi di parte che l’abito gli impone al di sopra del suo essere allegro e scansonato. De Sica ci ha messo il solito corollario di ridda inventiva, il solito frullato virtuale di omaggi a rimandi ai grandi attori del passato da cui ha sempre rubato commosso. Questa volta, nell’apparato, manca la voglia di far critica di costume, mancano gli svolazzi sociologici di un Brizzi, manca il bisogno di confrontarsi con una comicità più giovane e, spesso, più volgare. E il gioco appare per quello che è: un gioco appunto. Greve, certo, scorretto e qualche volta pesante. Ma il regista che tanta libertà ha dato al suo campione, poi gli cuce addosso l’abito su misura: contiene i tempi del suo episodio nei limiti esatti che non portino al troppo che stroppia.
Nel secondo cerca il modello aulico di una commedia più ragionata. Fonde Cyrano con Rugantino. Mette insieme la formula aulica della commedia di caratteri e ne ribalta il senso in uno sberleffo caustico e, incredibile a dirsi, elegante.
Come in Pretty woman mette in scena un personaggio di una particolare estrazione sociale che si lascia tentare dalla seduzione di un altro mondo. Ma la sua favola di Cenerentola cammina in senso inverso: non è lo strato sociale più basso a cercare di salire e confondersi con quello più alto, ma il contrario. Il ricco, amante giovane della commedia dell’arte, cerca la mimesi nel mondo coatto della vecchia Roma che non c’è già più proprio quando l’autore la filma intenta in serenate con chitarra e costume d’epoca. È il mondo borghese che deve imparare a parlare proletario e non viceversa. Forse, triste verità che emerge che neanche te ne accorgi, perché quel mondo proletario sta scomparendo e va difeso.
La coattaggine messa in scena in questo nuovo cinepanettone non è quella dell’italiano grasso e borghese sin qui cantato da Parenti con De Sica, ma quello proletario dei film di Bonnard o, addirittura, di un Pasolini senza scandalo. Per questo Colpi di fulmine perde per strada la leggerezza del gioco (che pure resta centrale ad ogni passo) per assumersi sulle spalle un compito che ancora non aveva davvero preso in considerazione: la difesa di una tradizione. E per questo il pubblico stesso, coatto come l’italiano medio disegnato dai cinepanettone precedenti, deve imparare che anche dietro la coattaggine c’è una storia che vale la pena di essere ricordata.
Anche per questo, nel tornare indietro, incredibilmente il cinepanettone azzera la sua formula: non più la globalizzazione del grado zero della cultura comune, ma una localizzazione geografica precisa. Il Trentino del primo episodio e, più ancora, la Roma del secondo sono i luoghi non più astratti del contendere. Dopo Miami e New York, finalmente, si torna a casa.


CAST & CREDITS

(Colpi di fulmine); Regia: Neri Parenti; sceneggiatura: Volfango De Biase, Neri Parenti, Domenico Saverni, Alessandro Bencivenni; fotografia: Tani Canevari; montaggio: Claudio Di Mauro; interpreti: Christian De Sica, Lillo, Greg, Luisa Ranieri, Anna Foglietta, Arisa, Simone Barbato; produzione: Aurelio De Laurentiis & Luigi De Laurentiis; distribuzione: Universal Pictures/Filmauro; origine: Italia, 2012; durata: 104’


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