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Bullet to the Head (Conferenza stampa)

Pubblicato il 15 novembre 2012 da Nicola Lazzerotti


Bullet to the Head (Conferenza stampa)

Roma, 15 novembre 2012. La conferenza stampa del film Bullet to the head di Walter Hill si è aperta con una comunicazione di Sylvester Stallone contro la chiusura degli studios di Cinecittà. L’attore ha infatti incontrato gli occupanti degli studi romani, e sensibilizzato dal tema è intervenuto a sostegno dei lavoratori. Stallone si è speso chiedendo alle istituzioni di adoperarsi per salvare un luogo che è anche un simbolo importante della storia del cinema italiano e mondiale.
Alla conferenza stampa erano presenti il regista Walter Hill, l’interprete Sylvester Stallone e lo sceneggiatore Alessandro Camon.
Il regista Walter Hill era oggi al Festival internazionale del cinema di Roma a presentare, fuori concorso, il suo ultimo film bullet to the head. E per ricevere il Maverick director award.

Lei ieri è stato accolto in maniera molto calorosa sia al campidoglio che al teatro di Tor Bella Monaca, una realtà quest’ultima difficile, un quartiere periferico come quello dove è nato.

Sylvester Stallone: nel recarmi in questo quartiere, mi sono sentito come quando ero giovane, nel mio quartiere, credo che questa sia stata un’iniziativa fantastica, e ho detto a quei ragazzi di osare nella vita, e di non demordere.

Lei ha interpretato molti film, come si sente ad essere il punto di riferimento di una generazione e se ne sente il peso?

Sylvester Stallone: Si, un buon peso, è molto strano essere Rambo una figura così oscura, o Rocky che invece rappresenta l’ottimismo. Una generazione che è cresciuta con me e con i miei personaggi, con Jimmy Bobo voglio creare un personaggio che sia un mix dei precedenti per una nuova generazione di spettatori.

Ad hollywood oggi questo è un film atipico. Voleva lanciare una messaggio particolare?

Walter Hill: non volevo dialogare con Hollywood, volevo fare un film che fosse un omaggio ai film degli anni ’70 - ’80, ma anche moderno, un film che si arricchiva di spunti strada facendo. Mi piace pensare che i film dipendono dal carattere dei cineasti e non dagli effetti speciali.

C’è stato un incontro che le ha cambiato la vita, e se c’è un segreto per rimanere giovane?

Sylvester Stallone: Mi alleno con Tecnogym, attrezzature prodotte in Italia (sorride). Quando ero ad Hollywood ero contento perché pensavo che fosse una storia d’amore quello che stava accadendo, feci Rocky, ebbi successo, il film incassò moltissimo. Ma io non ero stato ancora pagato, e volevo essere pagato ma i produttori m’hanno risposto di tornare a lavoro, ti pagheremo quando avremo voglia. Era di soldi soldi che si parlava e di nient’altro, business e non una storia d’amore, una lezione che ho molto imparato bene.

C’è stato un riferimento, un film a cui ti sei ispirato per scrivere questo film?

Alessandro Camon: La storia nasce da un fumetto che già era ambientato a New Orleans, quindi non era originale e per i dialoghi una grossa mano l’hanno data Hill e Stallone, ma se devo fare un riferimento sicuramente 48 ore, con gli anni il genere dei buddy movie (film di genere in cui si sviluppa un’amicizia virile tra i protagonisti, ndr.) era mutato e il conflitto tra i protagonisti era più un conflitto di stile che morale, così ho ripensato a 48 ore e ai due personaggi che sono l’uno all’opposto dell’altro, non sono spinti dalla stessa motivazione, e questo tipo di conflitto che funzionava bene in 48 ore era essenziale per questo film.

Il film sembra riprendere lo stile e il linguaggio di Last man standing ?

Walter Hill: una delle cose che riguardano lavorare a Hollywood è avere a che vedere con le opportunità. Il modo in cui sono andate le cose in questi anni non mi hanno permesso di fare nuovi film, e questa è stata l’occasione per riprendere. Credo fermamente che si possono ancora fare i film come si facevano una volta, senza effetti speciali digitali. E’ una scelta di stile e dipende tutta dalla natura e dalla personalità del cineasta che da questa dimensione, e il suo personale tono ironico.

Si è ispirato a personaggi del suo passoto per creare questo ruolo?

Sylvester Stallone: In passato ho interpretato personaggi che erano tutta azione, con il tempo ho imparato dai miei errori e oggi sono convinto che lo scambio di battute e i dialoghi sono belli come le scene d’azione.
Questo era quello che voleva Walter ed io mi sono abbandonato, e credo che funzioni bene.

Lei in passato ha dichiarato che il genere del western è in ogni storia.

Walter Hill: Si e ne sono sempre più convinto. Il trucco in Bullet to the head sta nel creare un mondo che assomiglia ad un western. I western sono dei mondi inventati non reali, ma percepiti e idealizzati. Quindi bisogna creare una verosimiglianza, l’ironia gioca un ruolo centrale in tutto questo, è quello che in fondo rende credibile la messa in scena. E questa cosa che è accettata in un western, più difficile in un altro genere di film, per esempio la mancanza di plausibilità nella scena finale, diventa credibile nel momento in cui la scrittura a renderlo credibile.

Cosa fa tra un film e l’altro?

Sylvester Stallone: me lo sono sempre chiesto: chiesto cosa combina un attore tra un film e un altro? Mi sono detto: legge copioni, si riposa, valuta proposte.
Io inseguo le mie figlie dentro casa, 3 figlie scatenate, e con loro ci sono la tata e mia moglie e anche il cane è una femmina, ora che ci penso sono l’unico maschio!

Ci sarà ancora un un Rocky o un Rambo?

Sylvester Stallone: Rocky è un personaggio con cui ho ormai chiuso, sono soddisfatto, io non voglio invece chiudere con Rambo, diciamo che non voglio andare in pensione. Rambo è un individuo che non è in grado di tornare a casa perché una casa non ce l’ha. E’ un guerriero, che sente di dover morire come tale, da eroe in un campo di battaglia. Rambo potrebbe tornare, sto preparando qualcosa vediamo se il fisico reggerà. Oppure tornare come donna: Rambolina.


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