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Daddy and them

Pubblicato il 23 maggio 2002 da Alessandro Izzi
VOTO:


Daddy and them

Quante volte, nella vita, ci mancano le parole per esprimere, agli altri, i nostri sentimenti? Quante volte, di fronte all’imbarazzo della nostra anima nuda, indifesa davanti allo sguardo della persona cara, la nostra bocca si chiude in un sorriso enigmatico, che permette a mala pena di intravedere l’ansia di un non detto sempre pronto a trasformarsi in un amaro rimpianto per l’occasione perduta? In quei momenti c’è solo un sospiro trattenuto a sintetizzare malamente le troppe parole da dirsi, e il desiderio che l’altro, messo in comunicazione con il nostro cuore per chissà quali remote vie, possa capire ciò che per noi stessi è assolutamente inesplicabile. Questo non detto doloroso, questo silenzio che è sempre fonte di malintesi, si rivela presto come centro poetico dell’ultima fatica di Billy Bob Thorton. Un film che non tarda a pagare tutti i suoi tributi ad un Cinema di genere (come la commedia familiare), con una serie di omaggi affettuosi e sornioni che diventano i motivi di una segreta poesia, nella loro ricerca di una continuità e di un discorso complesso e bello. Ma i riferimenti a certo cinema dei Cohen (soprattutto nella costruzione dei dialoghi e nel disegno di alcune situazioni palesemente grottesche) o di Woody Allen (negli intrecci tra i personaggi), sono solo lo sfondo entro cui il regista muove le pedine di una messa in scena estremamente variegata ed originale. La storia va, per lo più, avanti per giustapposizione di sezioni isolate, nella successione di veri e propri segmenti narrativi apparentemente slegati, in realtà sostenuti da una continuità profonda. Una sorta di siparietti di gusto spesso spiccatamente teatrale che poggiano tutta la loro efficacia sulla bravura degli interpreti più che su una precisa strategia registica. E qui sta forse uno dei limiti di un’operazione che per altri aspetti si rivela invece notevole: nella sfiducia, che pare di leggere tra le righe, del regista nei confronti delle possibilità espressive dell’immagine filmica. Thornton certamente non è, né vuole essere, un regista visuale, l’immagine gli serve come veicolo per arrivare al cuore del proprio discorso, non è essa stessa discorso. Di qui il suo aggrapparsi costante ai personaggi che mette in scena, l’insistere ossessivo per i primi piani (in un serrato montaggio campo/controcampo) e per i totali in campo medio. Le sue figure non scompaiono mai nell’ambiente, non sono mai assorbite nei paesaggi (per i quali il regista rivela un franco disinteresse), ma restano sempre centrali al discorso. Ma di qui anche il modo realistico di trattare i sogni e le immagini oniriche che diventano indistinguibili dalla realtà oggettiva inverando spesso dei piccoli corto circuiti di senso tutt’altro che banali ai fini della presentazione dei campioni di disumana umanità che popolano la pellicola. Sempre simpatici, malgrado l’orrore in cui la loro incapacità di comunicare li ha condannati a vivere, i personaggi messi in scena diventano presto veicolo di una piana poesia (che si fa posticcia solo nei momenti in cui pare essere consapevolmente ricercata). Ma, in conclusione, Thorton ha un fiuto straordinario soprattutto nella direzione degli attori: Laura Dern è brava come non mai e persino Ben Affleck appare credibile nel suo piccolo cameo (il che è un vero miracolo).

(Daddy and them); regia: Billy Bob Thornton; sceneggiatura: Billy Bob Thornton; montaggio: Sally Menke; fotografia: Barry Markowitz; musica: Larry Paxton, Marty Stuart, Kristin Wilkinson; interpreti: Billy Bob Thornton, Laura Dern, Diane Ladd, Kelly Preston, Andy Griffith, Sandra Seacat, John Prine; produzione: Jonathan Gordon, Bruce Heller, Geyer Kosinski, Larry Meistrich, Robert Salerno, Bob Weinstein, Harvey Weinstein per Free Hazel Films, Industry Entertainment, Meespierson Film, Miramax Films, The Shooting Gallery, WMG Film; origine: Usa, 2001; distribuzione: Eagle Pictures

[Maggio 2002]

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