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Desert vampires

Pubblicato il 23 giugno 2002 da Alessandro Izzi
VOTO:


Desert vampires

Che il vampiro fosse una delle creature più cinematiche disponibili sul mercato l’aveva già capito Francis Ford Coppola qualche anno fa, girando un capolavoro come Bram Stoker’s Dracula. In effetti, a pensarci per un momento, il pallore cadaverico dei volti di questi esseri romantici e terribili ad un tempo, messo a contatto con il nero cupo dei mantelli che ne cingono, come ali ripiegate, il corpo, si prestava perfettamente ai contrasti di luce ed ombra della fotografia in bianco e nero dei grandi classici del passato (in specie se si era della parti dell’espressionismo tedesco). Più tardi il tripudio del technicolor ha segnato, senza contraddizioni, il trionfo dei rivoli di sangue sulle labbra sensuali e carnose di vampire e vampiri. Ma non è solo una questione di colore a segnare l’affermarsi della figura del vampiro nel seno dell’industria cinematografica mondiale. è anche l’idea assolutamente originale di un corpo a tal punto scarnificato in pura immagine da non potersi più riflettere in uno specchio, a colpire la fantasia dei cineasti. Come pure l’idea di un volto che, pur se capace di mille trasformazioni (lupo, pipistrello, nebbia, topi) rimane sempre e costantemente uguale a se stesso, come il fotogramma per sempre congelato della pellicola di un film, magari polveroso, ma sempre eternamente immobile. Dietro l’archetipo del vampiresco si è potuto nascondere ogni tipo di metafora. Intenzione degli autori di questo film pareva essere quella di utilizzare il vampiro come cartina di tornasole (ci si perdoni il gioco involontario) per meglio comprendere la disillusione e il senso di sbandamento di quelle generazioni cresciute sotto i miti di McDonald’s e di MTV. Di qui la normalizzazione, quasi, cui è soggetto l’orrore. Il vampirismo è, qui, un morbo telegenetico del sangue, trasmesso dal semplice morso, che non conosce alcun tipo di cura se non l’eliminazione fisica del vampiro-fonte. Anche se il Vampiro può essere ucciso solo in un terreno consacrato (ma in nessuna scena del film ci viene fatto segno che esso tema ancora la croce), la cosa non reca con sé alcuna considerazione di carattere religioso o trascendentale. Esso muore solo se viene decapitato o esposto direttamente alla luce solare (nel qual caso esplode spettacolarmente), si fa scarrozzare per le strade d’America da un autista succube del suo potere telepatico ed approfitta delle efferatezze dei serial Killer, da sempre oggetto privilegiato della cronaca, per celare la sua esistenza al mondo. Tutto il film si risolve nella storia della caccia ad uno dei vampiri primi da parte di un terzetto di contagiati che riescono ad arrestare l’avanzata del morbo nel loro organismo (ma non a debellarlo) assumendo un cocktail di farmaci e droghe (quanto sarebbe piaciuta quest’idea ai Figli dei Fiori!). Ed è il trionfo di un racconto faticoso (anche se non noioso) che ripete elementi già visti in tanti altri film del genere. Come i giovani protagonisti che va cantando, il regista sembra incapace di partorire una minima idea originale e si limita a confezionare un prodotto senza infamia o lode che ha il solo difetto di non mettere mai paura sul serio. L’unica cosa realmente spaventosa è il vuoto di valori e di significati che si disegna intorno ai giovani protagonisti della pellicola· disillusi che esprimono la loro angoscia esistenziale (che da tempo ha cessato di essere tale) con frasi fatte pronunciate in poveri motel. Per il resto un film davvero brutto.

(The forsaken); regia: J. S. Cardone; sceneggiatura: J.S. Cardone; montaggio: Norman Buckley; fotografia: Steven Bernstein; musica: Tim Jones, Johnny Lee Schell; interpreti: Kerr Smith, Brendan Fehr, Izabella Miko, Johnathon Schaech, Phina Oruche, Simon Rex, Carrie Snodgress; produzione: Connie Dolphin, Scott Einbinder, Carol Kottenbrook per Sandstorm Films; origine: U.S.A., 2001; distribuzione: Columbia

[Giugno 2002]

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