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Detenute e studentesse in Iran

Pubblicato il 2 settembre 2002 da Alessandro Borri


Detenute e studentesse in Iran

Relegate in una condizione rigidamente subalterna nelle società islamiche, le donne sono però sempre più visibili nelle rappresentazioni della recente cinematografia iraniana, o meglio nelle produzioni che circolano nei festival internazionali, dato che una larga fetta di quanto è realizzato in Iran non varca i confini nazionali. Confermano questa tendenza due esordi nel lungometraggio presentati al Lido: Zendan-e Zanan / La prigione delle donne di Manijeh Hekmat (nella sezione Controcorrente) e Emtehan / L’esame di Nasser Refaie (Settimana della critica). Entrambi i film si propongono di indagare la società iraniana puntando l’obiettivo su universi prettamente femminili e scegliendo di metterli in scena attenendosi a una rigorosa unità di luogo: nel primo caso non usciamo mai dal carcere femminile e dagli ambienti di cui si compone (le celle, il cortile, le sale da lavoro, gli uffici), mentre nel secondo non ci allontaniamo in nessun momento dalla strada e dal cortile su cui affaccia l’istituto dove le aspiranti studentesse di medicina attendono di sostenere l’esame di ammissione all’Università. Spesso si è parlato di neorealismo a proposito del nuovo cinema iraniano, ed è curioso notare che per entrambi i film potrebbe essere interessante un raffronto con due film italiani tardo-neorealisti degli anni ’50: Nella città l’inferno, ambientato alle Mantellate, carcere femminile romano dove Castellani faceva fronteggiare la Magnani e la Masina; e Roma ore 11, con le sue aspiranti segretarie in attesa di un colloquio di lavoro, la cronaca di una tragedia ricostruita da De Sanctis. Frutto di un lungo e impegnativo lavoro di preparazione (due anni di inchieste sul terreno condotte dalla regista Hekmat, tre mesi di prove, problemi con i permessi, 75 giorni di riprese) Zendan-e Zenan è un film che per certi aspetti si discosta nettamente dalla maggior parte della produzione iraniana nota in occidente: un racconto che si snoda su ben diciassette anni (mentre in genere vengono predilette situazioni che si risolvono in un breve arco di tempo) e personaggi “romanzeschi” di cui si segue l’evoluzione e il cambiamento nel corso degli anni (in particolare l’autoritaria direttrice e l’omicida ribelle). Ne risulta un affresco della vita nel carcere quale specchio degli ultimi vent’anni di storia iraniana, con tutte le sue contraddizioni e la violenza, prostituzione e droga (cui si accenna senza insistervi) quali frutto di un sistema estremamente repressivo. Ma, dispiace dirlo, i risultati non sono sempre all’altezza delle intenzioni e il racconto non appare sempre chiaro e fluido, forse proprio in ragione di un’ipertrofia delle componenti. (Distribuito in sala da un paio di settimane, dopo aver atteso per 1 anno e mezzo il visto di censura, pare abbia però goduto di un ottima accoglienza da parte del pubblico.) Emtehan / L’esame è decisamente più risolto dal punto sia dal punto di vista drammaturgico che stilistico. Affiancando all’unità di luogo l’unità di tempo, il film ricostruisce l’attesa di una folla di studentesse prima dell’esame di ammissione. Per ottanta minuti la mdp passeggia tra le ragazze alternando lente carrellate laterali a piani fissi in cui si sofferma ora su uno ora su un altro gruppo, collezionando frammenti di discorsi e di situazioni che ci svelano le diverse tipologie di donne che vorrebbero proseguire gli studi. Se Zendan-e Zenan si propone di essere un affresco di grande respiro, Emtehan è un’istantanea dell’odierna società iraniana. Senza voler denunciare, il film illustra, indaga e documenta la realtà contemporanea. Un’opera che parrebbe ricollegarsi al cinéma-vérité ed è invece il frutto di un lavoro di sceneggiatura attento e preciso: nessuno spazio è stato lasciato all’improvvisazione durante le riprese, neppure per i dialoghi. Scritto, diretto e montato da Nasser Rafaie, Emtehan restituisce intatta la grazia e l’allegria delle sue giovani protagoniste.

[7 settembre 2002]


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