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DETROIT

Pubblicato il 6 giugno 2004 da Mazzino Montinari


DETROIT

Tra i film selezionati nel Concorso “Pesaro Nuovo Cinema”, era in programma Detroit di Jan-Christoph Glaser e Carsten Ludwig al loro primo lungometraggio. Protagonista della storia è Ed interpretato da un buon Christoph Bach.
Si tratta di un road movie, nel quale le strade percorse sono due. Nel primo viaggio, Ed deve andare dal fratello, attraversando la Germania in automobile per circa trecento chilometri. Uno spostamento semplice che non meriterebbe tanta attenzione se non fosse che parallelamente, lo stesso Ed inizia un viaggio di tipo mentale, in teoria molto più avventuroso, in cui le distanze sono rarefatte e la meta è del tutto ignota.
In questo secondo percorso, i personaggi entrano e escono liberi dai vincoli della realtà, si parano di fronte a Ed senza più alcuna logica spazio-temporale. Un film metafisico, e un po’ troppo scolastico a dire il vero, in cui la realtà esterna si confonde e mimetizza con quella interna, dove l’invisibile prende la forma del visibile fino a sostituirlo definitivamente. Tuttavia, che sia reale o irreale, nella testa del protagonista si ricostituisce un mondo fatto di uomini e donne che parlano e che tacciono, che amano e che disprezzano, che simpatizzano e odiano. Niente di quello che fanno sembra indicare qualcosa che metta in discussione l’esistente. In una realtà, il fratello di Ed è morto, nell’altra si sposa, in fin dei conti per molti esseri umani le due cose non sono poi così tanto diverse.
Al di là della facile battuta, lo spettatore in questo alternarsi e ripetersi di situazioni si adagia senza provare alcun sentimento d’inquietudine. Smaniosi, forse, di emulare un regista come Lynch, Glaser e Ludwig hanno badato a riprodurre situazioni e immagini accattivanti, ma come il loro protagonista si sono persi per strada e, alla fine, il film risulta freddo non derivando da un incubo e non riuscendo nemmeno a produrlo.

[giugno 2004]

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