X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Documentario in Italia

Pubblicato il 22 dicembre 2002 da Marino Galdiero


Documentario in Italia

La moltiplicazione dei prodotti sguardiLe nuove tecnologie digitali insieme allo sviluppo di reti televisive satellitari hanno dato una nuova spinta al documentario, genere, che specialmente nel nostro paese pareva quasi non esistere più, scomparso da ogni palinsesto (sala, festival, televisione). Di fatto il ritorno del documentario è evidente e non ci sono unicamente delle ragioni di mercato dietro la scelta documentaristica. In alcuni casi è una modalità per avvicinarsi al lungometraggio di fiction, si pensi in proposito a Monteleone per El Alamein, o a Daniele Vicari per Velocità Massima. In altri sono motivazioni di carattere culturali e sociali, la possibilità di perseguire un approfondimento attraverso l’immagine, che sfocia in una struttura da film inchiesta, come Porto Marghera: Inganno Letale di Paolo Bonaldi. Non considerando l’insieme variegato delle testimonianze video di eventi di grande risonanza mediatica, ci riferiamo agli avvenimenti del G8 a Genova, o al Social Forum di Firenze. Testimonianze che offrono uno sguardo diverso da quello dei circuiti televisivi internazionali, a volte con duri accenti di militanza politico ideologica, ma che non esclude spesso il pregio di un andare a vedere oltre le rappresentazioni ufficiali. Un tratto comune delle diverse produzioni documentarie di questi anni è proprio in direzione delle esperienze marginali, del non ufficiale, dell’approfondimento, di quell’universo di esperienze, storie, personaggi che non vivono delle luci della ribalta. Sembra respirare - all’interno delle tante immagini - il desiderio di uscire fuori dai limiti angusti dello schermo televisivo e cinematografico nazionale. Insieme ad una ricchezza tematica, si va pian piano figurando in questi prodotti una ricerca estetica, ancora da sperimentare e non sempre all’altezza, però nemmeno da sottovalutare. Tra tutti e con risultati indiscutibili ci sono certamente Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, il loro found footage li situa in un ambito di riconosciuta impronta autoriale, e la stessa Alina Marazzi, Un’ora sola ti vorrei, utilizzando i filmati girati dal nonno, si muove tra le immagini con grande abilità. Una domanda si pone di fronte alla nuova frontiera del documentario: l’abbattimento dei costi di produzione, grazie alle tecnologie digitali, ha reso possibile una moltiplicazione dello sguardo, così da inverare l’antica profezia di chi pensava la macchina da presa come una penna? Forse non siamo ancora a tal punto, ma ci siamo abbastanza vicini. Per ora siamo certi di una moltiplicazione dei prodotti, e non siamo tanto sicuri che lo sguardo (che permette di vedere) si sia moltiplicato.


Enregistrer au format PDF