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Il gioco delle coppie

Pubblicato il 31 dicembre 2018 da Anton Giulio Onofri
VOTO:


Il gioco delle coppie

Ha deluso parecchi dei suoi fans, Olivier Assayas, con questo Doubles Vies (letteralmente ‘doppie vite’), operina di piccolo formato e dalla qualità d’immagine trasandata e sciatta (nonostante il direttore della fotografia sia anche stavolta il fedele Yorick Le Saux, con cui ha collaborato anche per i più ambiziosi Sils Maria e Personal Shopper), che sa di ‘racconto morale’ alla Rohmer, e ricorda certe strisce a fumetti di autori francesi degli anni ’70, come Gérard Lauzier e Claire Bretécher, che mettevano in piazza vizi e vezzi della classe intellettuale parigina, ai tempi piuttosto frustrata e parecchio politicamente impegnata. Oggi l’impegno politico si è forse attenuato, ma restano quelle debolezze umane verso le quali Assayas, mettendo da parte la vena ironica e sarcastica di quei comics maturati nel decennio post-sessantottino, sembra provare un’affettuosa e benevola indulgenza. Il quartetto di amici protagonisti di Doubles Vies appartiene al ceto benestante della Parigi intéllo che gravita intorno al mondo dell’editoria e dello spettacolo: hanno tutti e quattro, come dice il titolo, una doppia vita, o comunque qualcosa da nascondere. Guillaume Canet fa l’editore, e si ritrova a fare i conti con le novità tecnologiche che hanno modificato l’odierna fruizione della letteratura, mentre sua moglie, Juliette Binoche, fa l’attrice in una serie televisiva poliziesca mentre continua a coltivare il sogno di calcare scene più importanti e qualificate. Poi c’è Vincent Macaigne, scrittore dal successo altalenante, che non riesce, nei suoi romanzi, ad allontanarsi da un certo autobiografismo e a mascherare le persone (amici, ex amanti...) e le situazioni trasposte dalla realtà sulla pagina scritta che finiscono sempre per procurargli seri problemi relazionali per la loro eccessiva riconoscibilità. È in coppia con la deliziosa e perspicace Nora Hamzawi, cui non sfugge la sua relazione con la moglie dell’editore, ma saggiamente finge di ignorarla aspettandone con pazienza l’inevitabile conclusione. In questo quadretto che passa il tempo a scambiarsi fiumi di parole e di considerazioni sulla contemporaneità a volte anche un po’ troppo salottiere e banalotte (la qualità dei dialoghi è – volutamente? – assai distante dalla grazia delle sceneggiature rohmeriane) tutti possiamo bene o male riconoscerci, alle prese come siamo quotidianamente con internet, facebook, whatsapp, gli e-book, anche noi con i nostri piccoli e grandi segreti, prosaici e di ordinaria amministrazione. Ma l’intreccio da pochade (altro elemento che, con il cinema del grande Rohmer e le tranches de vie disegnate da Lauzier e dalla Bretécher costituiscono un formidabile e strutturato humus autoctono che rende la cultura francese molto più solida e consapevole della nostra) funziona proprio per la mancanza di pretese di uno script affidato ad attori superlativi che si divertono a sfottere se stessi (prima fra tutte Juliette Binoche) con leggerezza invidiabile. Quelli che da Assayas pretendono l’autorialità di un Après Mai o di un Personal Shopper questa volta devono fermarsi un giro, oppure accontentarsi di questo episodio vacanziero di un cinema che non smette comunque, neppure per un istante, di brillare per intelligenza.


CAST & CREDITS

(Doubles Vies (Non-Fiction)); Regia: Olivier Assayas; sceneggiatura: Olivier Assayas; fotografia: Yorick Le Saux; montaggio: Simon Jaquet; interpreti: Guillaume Canet, Juliette Binoche, Vincent Macaigne, Nora Hamzawi, Christa Théret, Pascal Greggory; produzione: Charles Gillibert; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Francia, 2018; durata: 107’


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