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E poi c’è Katherine

Pubblicato il 16 settembre 2019 da Matteo Galli
VOTO:


E poi c'è Katherine

Raramente è capitato di vedere un film il cui titolo italiano è così privo di senso: E poi c’è Katherine. Quello inglese, ovvero Late Show, poteva tranquillamente restare, nessuno avrebbe avuto problemi di comprensione. Ma fosse solo il titolo… Pur disponendo, come al solito, di una eccellente Emma Thompson, il film è davvero modesto, la fiera del prevedibile, anche al netto di un – non sappiamo fino a che punto volontario – metalivello.

Sorta di David Letterman al femminile (?), Katherine Newbury presenta da un’eternità uno show comico (si fa per dire) in tarda serata in un non meglio precisato network. In passato, soprattutto in passato, lo show le è valso Emmy Awards a profusione, adesso lo share zoppica e la responsabile della rete ha deciso che è giunta l’ora di trovare un sostituto per provare a rivitalizzare il format, magari, finalmente, un’americana o un americano e non un’inglese come nel caso della protagonista che per soprammercato nemmeno nasconde un certo snobismo nei confronti del pubblico americano dai cui favori pur sempre dipenderebbe. Ma Katherine non dispone di molto altro, a parte un marito tenero, devoto, leggermente patetico, anche perché affetto da un inizio di Parkinson, niente figli, niente amici, niente di niente e questo show che è di fatto il surrogato della sua identità non vuole perderlo. Per prima cosa coinvolge i suoi autori – e qui troviamo un primo dato iperbolico che decisamente non funziona, lo spettatore stenta a crederci: Katherine non conosce (più) i suoi autori, moltissimi anni fa forse sì, ma adesso non più, per esempio non sa, nessuno le ha detto, che un collaboratore storico è morto ormai da diversi anni. Vi pare credibile? A me no. E Katherine prova a lottare senza peraltro sapere come, troppo tempo è ormai trascorso dall’ultima volta in cui si è messa in gioco, sul piano umano e su quello professionale.

Siamo peraltro in piena sindrome #MeToo e fra i vari rimproveri che le vengono mossi figura la totale assenza di donne nel suo team costituito da (ex) genietti della Ivy League che di fatto non fanno altro che calcare e ricalcare oltre misura il carattere oltremodo autoritario, cinico e fallico di Katherine. Se vuole salvare lo show dunque, Katherine deve cambiare atteggiamento e impostazione. Un primo tentativo, che sembra più che altro un’operazione di maquillage è, appunto, rappresentato dall’assunzione in quota rosa, in quota migranti, in quota oversize, in quota famiglia proletaria, una giovane entusiasta originaria della Pennsylvania che risponde al nome di Molly (di cognome Patel e viene da chiedersi se sia l’unico cognome esistente di origine indiana, si pensi a Slumdog Millionaire, Yesterday…) e che fin qui ha lavorato al controllo qualità in uno stabilimento chimico con un pedigree comico piuttosto scadente, anzi nullo. All’inizio viene mobbizzata da Katherine e dai colleghi maschi e maschilisti, poi uno se la vuole portare a letto, un altro se ne innamora, la signora s’indigna, la caccia, la riprende etc.

Come si conviene a una commedia, ci sarà l’happy end, condito di opportune melensaggini, non riveleremo come, fatto sta che, secondo dinamiche psicologiche anche qui non del tutto plausibili e fra mille (inutili) peripezie succederà al late show quel che non succede al film: si salva. A più riprese il film è parso una variante (in peggio) de Il diavolo veste Prada: nella costellazione di fondo: la giovane ingenua e sprovveduta ma supertenace, la signora inavvicinabile, gli integrati/le integrate, la figura dell’intermediario/mediatore (l’ottimo Stanley Tucci nel film di David Frankel, Denis O’Hare nel nostro film). Anche il setting è lo stesso, uguali anche le inquadrature di New York, verticale e opprimente, le freddure del dialogo che sostanziano la sceneggiatura, scritta da Mindy Kaling, che interpreta Molly e che è la creatrice della sit-com The Mindy Project e soprattutto di The Office, alla cui costellazione produttiva molti episodi del film si richiamano. Certe freddure del film sono in fondo le stesse insipide freddure del Late Show (dei late shows? delle sit-com?). Sarebbe da una stella. Una in più grazie a Emma Thompson.


CAST & CREDITS

(Late Show); Regia: Nisha Ganatra; sceneggiatura: Mindy Kaling; fotografia:Matthew Clatk; montaggio: Elanor Infante; interpreti: Emma Thompson (Katherine Newbury), Mindy Kaling (Molly Patel), John Lithgow (Walter Newbury) Denis O’Hare (Brad); produzione: Filmnation Entertainment; distribuzione: Amazon Studios; origine: Usa 2018; durata: 102’


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