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È stato il figlio

Pubblicato il 1 settembre 2012 da Salvatore Salviano Miceli

VOTO:

È stato il figlio

C’è un cinema che non ha bisogno della realtà per raccontarla. C’è un cinema che descrive evocando piuttosto che mostrando. A questo cinema appartiene Daniele Ciprì.
Era così nei suoi lavori per il piccolo e grande schermo fatti in coppia con Franco Maresco o nella fotografia firmata per film di altri autori. Lo è ancora di più adesso, in questa nuova avventura che lo vede, oltre che nel consueto ruolo di direttore della fotografia, per la prima volta alla regia in solitaria. Non può che essere così se, in È stato il figlio, riusciamo ad assaporare Palermo, le sue splendide miserie e le sue tragiche consuetudini, pur nella sua assenza. È la Puglia la sede delle riprese, infatti, nonostante la storia sia ambientata nel capoluogo siciliano.
Il testo omonimo di Roberto Alajmo, da cui il film è tratto, viene spogliato da Ciprì del suo realismo. Le immagini che il regista consegna allo schermo sembrano sempre aprirsi una via di fuga verso la metafora, o comunque verso uno spazio in cui la narrazione si pone ai confini dell’inverosimile. Ciò che l’ambiente astrae è però il volto di ogni personaggio a rendere definitivamente vero. Sono le espressioni di Tony Servillo - ancora un volta straordinario -, le rughe e il sofferto cinismo di una splendida Aurora Quattrocchi, lo sguardo trasognato e assente del giovane Fabrizio Falco, gli occhi smarriti di Alfredo Castro, a raccontarci, senza artificio alcuno, una storia talmente figlia della Sicilia da divertire e sconvolgere senza soluzione di continuità. Proprio come avveniva in quell’innovativo esperimento che fu, nei primi anni novanta, Cinico TV, o nei primi lavori per il cinema come Lo zio di Brooklyn e Totò che visse due volte, la macchina si impadronisce avida delle facce, rincorre i primi piani, esplora ogni suggestione del volto. Ed ogni personaggio si porta dentro un modo differente e personale di raccontare la storia. Il risultato finale è così la somma di tanti, diversi e spesso non coincidenti, mondi. Nel cinema di Ciprì, ed È stato il figlio non costituisce eccezione, non esiste una realtà unica e sola o, meglio, quest’ultima si mostra come il risultato di una difficile crasi.
Non esiste separazione tra sorrisi e tragedia. Come qualsiasi contraddizione che si rispetti pretende, e la Sicilia ne è emblema, il dolce e l’amaro sono con così forza abbracciati tra loro da non potere essere separati l’uno dall’altro. Non stupisce quindi che anche, ma non solo per questo, Ciprí non abbia amato - è un eufemismo - Palermo shooting. Il brutto film di Wenders si pone probabilmente agli antipodi del suo modo di concepire e fare cinema. L’idea laccata e posticcia di una cartolina ben poco rappresentativa lascia, nel caso di È stato un figlio, il posto a una verità che, per quanto paradossale e surreale, appare infinitamente più viva e pulsante.


CAST & CREDITS

(È stato il figlio) Regia: Daniele Ciprì; soggetto: Robero Alajmo, Massimo Gaudioso, Daniele Ciprì,tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Alajmo; sceneggiatura: Massimo Gaudioso, Daniele Ciprì, Miriam Rizzo; fotografia: Daniele Ciprì, Mimmo Caiuli; montaggio: Francesca Calvelli, Alfredo Alvigini; musica: Carlo Crivelli; scenografia: Marco Dentici; interpreti: Tony Servillo (Nicola Ciraulo), Giselda Volodi (Loredana Ciraulo), Alfredo Castro (Busu), Aurora Quattrocchi (Nonna Rosa), Fabrizio Falco (Tancredi Ciraulo); produzione: Passione, Babe Films, Rai Cinema, Palomar; distribuzione: Fandango; origine: Italia 2012; durata: 90’


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