Elephant
Da sempre campione degli “indis” americani, Gus Van Sant, malgrado alcune compromissioni commerciali (in particolare ricordiamo il non brutto ma troppo hollywoodiano Will Hunting - genio ribelle), resta trai i pochi filmmaker inventivi e intraprendenti nell’attuale panorama del cinema americano non mainstream. E lo ha riconfermato alla grande - a seguire la vetta del precedente Gerry (2002), un film bellissimo ma quasi passato inosservato dopo l’uscita a Locarno 2002 - con questo oliatissimo psicothriller sull’anima oscura e violenta che alberga nell’inconscio della gioventù dell’America civilizzata e che si è assicurato, sbaragliando la concorrenza, la Palma d’oro a Cannes 2003. Nel declinare in fiction una storia che ricorda molto la celebre, famigerata tragedia di Columbine da cui, com’e noto, Michael Moore ha tratto un documentario persino troppo esaltato, Elephant forse non possiede la stessa originalità affascinante e lo stesso coraggio antispettacolare della prova precedente (che una volta o l’altra dovrebbe uscire anche sul nostro mercato, magari d’estate quando non se ne accorge nessuno) ma in ogni caso resta opera di grande e fine qualità. Certo qualcuno potrà rimproverare al regista di Louisville alcune eccessive, facili sottolineature nella trama o a volte un eccesso di schematismo psicologico nel narrare la storia di un tragedia assurda consumatasi in un liceo americano quando due maniaci di iperviolenza mettono in atto il loro folle delitto collettivo, sterminando senza pietà e senza ragione qualunque compagno di scuola incontrassero. Ma sono questi dei difetti minimi rispetto ad una superba messa in scena e a una costruzione narrativa complessa ed esemplare che, nel rincorrersi e sovrapporsi dei diversi punti di vista dei tanti protagonisti del plot (i giovani studenti del liceo dove avviene l’insensato massacro), fotografa e documenta, con apparente freddezza oggettivante, la preparazione e il corso luttuoso degli eventi. Sotto la scorza della semplice “ripresa” di un massacro, però, - e questo è trai suoi meriti maggiori - Van Sant riesce a darci senza ricorre a discorsi ideologici tutta una serie di strumenti per penetrare nel subconscio di un’America sorda e aggressiva. Elephant, per fortuna, non ci offre però delle spiegazioni sociologiche o delle soluzioni a senso unico, ma ci consegna un messaggio morale univoco contro la metastasi e il fascino diabolico delle armi e della violenza. In un’era segnata dal risorgere aggressivo dell’imperialismo yankee, dalla volontà di giocare il ruolo del poliziotto planetario, non ci sembra di poco conto che esso ci giunga proprio dal cuore dell’Impero. E in più con una straordinaria qualità di scrittura scenica, ormai sempre più rara da trovare.
Regia, sceneggiatura e montaggio: Gus Van Sant; fotografia: Harris Savides; interpreti: Alex Frost, Eric Deulen, John Robinson, Elias Mcconnell, Timothy Bottoms, Matt Malloy: produzione: HBO Films, Meno Film Company, Blue Relief Inc.; origine: Usa 2003: durata: 81’; distribuzione italiana: Bim