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Elio Germano e il nuovo teatro

Pubblicato il 29 aprile 2020 da Monia Manzo


Elio Germano e il nuovo teatro

In questo momento di assoluto distacco sociale, nessun attore/regista più del pluripremiato Elio Germano, - quest’anno ha vinto l’Orso d’Argento alla Berlinale per la sua meravigliosa interpretazione del pittore Ligabue nel film di Giorgio Diritti Volevo nascondermi - può essere accostato a una moderna concezione di spettacolo.

Lo potremmo definire un anticipatore di un futuro imprevedibile, in cui il tipo di spettacolo da lui proposto rappresenterebbe una modalità di fruizione dell’arte teatrale, a metà tra il cinema e un viaggio individuale in 3D, con degli occhiali, che permettono di proiettarci in una realtà virtuale, per cui il nostro cervello si innesta in una visione basata sulla suggestione delle immagini registrate da una replica precedente.

Il cuore di tale operazione è la spinta propulsiva che più colpisce nell’attore dalle origini molisane: un desiderio innato di poter esprimere la propria visione politica, attraverso l’arte: basta poco per comprenderne l’onestà intellettuale e l’integrità morale.
La bellezza di artisti del suo calibro sta in quella forza incredibile di voler rimanere sé stesso e perseguire degli obiettivi senza che il proprio Ego possa soffocare l’emozione, attraverso la parola e l’interpretazione.

Non è un caso che lo studio sul quale si sia concentrato per tanti mesi e che avrà sicuramente una risonanza futura, è Mein Kampf (La mia Battaglia), il celebre testo di Adolf Hitler del 1925 alla base del futuro delirio nazista.

È molto raffinata e profondamente motivata la scelta di una scrittura così sincopata e stridente con l’umanità di Elio Germano: il misurarsi con qualcosa che sembra lontanissimo, valorizza la capacità di poter trasmettere messaggi a volte anche poco chiari, per chi non avesse compreso dall’inizio l’intento didattico/storico che viene reso attraverso la regia.

Dalla finanza alla razza ebraica, nulla è realmente stato cancellato dalla cultura contemporanea.
Germano appare come un manipolatore delle masse, una grottesca figura al confine tra l’imbonitore e il killer istituzionalizzato.
Quello che può dare la misura del messaggio centrale, celato dietro le valide scelte registiche e di scrittura, è l’introduzione allo spettacolo, in cui l’attore romano intrattiene e coinvolge gli spettatori immergendoli in un potenziale mondo perfetto, in cui ognuno contribuirebbe all’organizzazione sociale, nel senso più nobile del termine, sfruttando le competenze professionali. Tutto il contrario del mondo attuale, dove si è persa la misura della realtà, a causa di messaggi che alterano prepotentemente la vita e che costringono la società a essere gestita da personaggi spesso non altezza dei propri compiti istituzionali o di leadership.

La mia battaglia evoca con forza un ammonimento e scandisce i risultati della mancata responsabilità politica e sociale che non può portare che a un disfacimento delle nostre democrazie europee.


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