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Evento su Pietro Germi

Pubblicato il 12 marzo 2009 da Donato Guida


Evento su Pietro Germi

Mercoledì 4 marzo si è tenuto, alla Casa del Cinema, un convegno su Pietro Germi, a 35 anni dalla sua scomparsa. Presenti in sala, oltre a critici estimatori del regista genovese, anche “storici” collaboratori e attori: da Luciano Vincenzoni a Stefania Casini, fino a Edoardo Nevola, il piccolo protagonista di due delle migliori opere dell’autore, Il ferroviere (1956) e L’uomo di paglia (1958).
La base portante del convegno è stata la presentazione del documentario dal titolo Pietro Germi. Il bravo il bello il cattivo, firmato da Claudio Bondì; un work in progress di circa una ventina di minuti, estrapolati dai novanta minuti totali di un lavoro non ancora completato. Tra varie interviste e spezzoni di opere indimenticate, è venuto fuori il ritratto di un Germi meno conosciuto (la presentazione di una sua sceneggiatura inedita dal titolo Vita di Gesù, ritrovata da poco, spiega ancor di più come il convegno sia stato pensato al fine di mostrare la parte più sconosciuta del regista), autore di opere che, purtroppo, sono state fortemente oscurate dal successo dei suo film satirici più famosi, quali Divorzio all’italiana (1961), Sedotta e abbandonata (1964) e Signore e signori (1965). La tavola rotonda, successiva alla visione del documentario, ha visto gli interventi di Adriano Aprà, Stefania Casini, Enrico Lucherini, Marco Vanelli e Luciano Vincenzoni. I loro interventi hanno avuto il merito di riesumare l’opera di un regista ‘ignoto’ ad una nuova generazione affascinata più dalle luci hollywoodiane che dall’artigianale lavoro di un autore che ha contribuito a rendere grande in tutto il mondo il nome del cinema italiano.
Chi era in realtà Pietro Germi? Uomo caparbio e di sani principi, autore essenziale e mai spettacolare, fermo e deciso nel momento in cui bisognava dare un messaggio chiaro con l’aiuto di una macchina da presa: in una sola espressione, “il grande falegname”, così come amava definirlo Federico Fellini. Non è poi così semplice delineare il carattere dell’autore genovese, come non è semplice tracciare un resoconto delle sue opere, rischiando sempre di cadere nel banale clichè di “padre della Commedia all’italiana”; un’osservazione più che giusta, ma che non deve assolutamente rischiare di sminuire il lavoro fatto dal regista prima delle sue opere più famose. Uomo capace di far commuovere gli spettatori con film come Il cammino della speranza (1950), capace di imporre i suoi ideali di giustizia rivisitando la lezione di uno dei suoi grandi maestri – John Ford – ne In nome della legge (1949), capace di bissare la sua grandezza d’autore grazie a interpretazioni memorabili ne Il ferroviere, L’uomo di paglia e Un maledetto imbroglio (1959), quest’ultimo uno dei migliori gialli mai realizzati nella storia del cinema italiano. Ma soprattutto Germi è stato capace di stupire gli spettatori, abbandonando, alla fine degli anni ’50, il suo stile “serio” per apprestarsi a divenire comico, satirico, ma soprattutto grottesco. È proprio questa svolta improvvisa che, paradossalmente, permette al regista di varcare le soglie nazionali ed essere riconosciuto come uno dei migliori autori della scena cinematografica italiana. Il paradossale è riferito al fatto che, mettendo da parte i capolavori precedenti firmati da Germi – i quali ebbero sì successo, ma furono visti molte volte con sufficienza e difficilmente apprezzati, anche all’estero – il successo straniero è arrivato con storie e faccende che sembrerebbero prettamente italiane. È difficile pensare che gli americani possano capire le vicende del barone Cefalù che si affida alla legge italiana per raggiungere lo scopo di uccidere la moglie e sposare la giovane e bellissima cugina; e sembrerebbe ancor più impossibile credere che i francesi possano comprendere le maldicenze e le ossessioni sessuali dei “cattolicissimi” abitanti della provincia veneta, rinchiusi in un giro di feste borghesi e tradimenti. Invece è proprio questa la grandezza di Germi: riuscire nell’intento di vincere l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale col suo Divorzio all’italiana ed alzare la Palma d’Oro a Cannes sotto gli occhi di una giuria affascinata dalla visione di Signore e signori.
Il regista genovese è riuscito nell’intento d’imporre la realtà quotidiana della nostra bella e disgraziata Italia a critici e pubblico ancora legati alle magnifiche visioni dei film neorealisti di Rossellini, De Sica e Visconti. “Ogni mondo è paese”, e se Germi tornava carico di premi sia dagli Stati Uniti che dalla Francia, significa che quel che accade in Italia non era del tutto estraneo ad altre mentalità.
Pietro Germi, un uomo all’antica, “col risvolto ai pantaloni” come amava spesso definirsi, ha creato delle opere moderne che, a guardarle dopo più di quarant’anni, non risultano essere invecchiate, ma sono sempre più forti, vere e – purtroppo – rispecchiano ancora un’Italia che sguazza nella sadica furbizia e nel mero provincialismo.
Questo è ciò che viene fuori da un convegno egregiamente organizzato, in una sala gremita di persone affascinate dalla figura del regista genovese, nelle cui opere risiede la comicità di un grande genio cinematografico capace, come detto, di perfezionare il grottesco al punto tale da aprire una strada a successive opere di altri autori come Marco Bellocchio, Lina Wertmüller e Marco Ferreri. Ogni grande autore ha un maestro a cui ispirarsi: senza ombra di dubbio il “grande falegname” genovese è stato – e continua ad essere – un faro satirico-grottesco; illumina l’animo di registi che navigano in un cinema che, purtroppo, non riesce più ad avere un tocco sadico e pungente che Germi, più di tutti, è riuscito a dare con il suo inconfondibile stile, mostrando una quotidianità italiana reale e mai forzata nel suo mero sadomasochismo. A tutto ciò bisognerebbe aggiungere la bellezza di opere che, seppur non hanno avuto la possibilità di varcare il confine della visibilità internazionale, restano gemme del cinema nostrano e insegnamenti di bravura ed essenzialità tecnica: pregio, questo, di non tantissimi registi.
Gli interessanti venti minuti del documentario di Bondì hanno avuto il pregio di riesumare vari aspetti del carattere e dell’operato di Pietro Germi; siamo in fremente attesa del lavoro finito, in grado, magari, di svelare elementi ancor più interessanti e anche di restituire gli elogi che l’autore genovese merita senza alcuna ombra di dubbio.


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