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Fassbinder dentro Latella: "Parlami d’amore Veronika Voss"

Pubblicato il 15 febbraio 2016 da Monia Manzo


Fassbinder dentro Latella: "Parlami d'amore Veronika Voss"

In scena al Teatro Argentina di Roma, Parlami d’amore Veronika Voss appare come il grande classico fassbinderiano. Il testo del grande drammaturgo e regista tedesco viene, però, reinterpretato secondo una visione che potremmo ormai definire "latelliana".
Per mettere in atto ancora una volta il suo lavoro di studio ipertestuale, il regista si avvale di strumenti di narrativi ridisegnando il rapporto che lega Veronika Voss (Monica Piseddu) agli altri personaggi che, travestiti da scimmioni, più che interpretare un ruolo, sembrano voler commentare la già strutturata drammaturgia di Rainer Werner Fassbinder. In questo modo essi assumono una vera e propria struttura corale, costruita attraverso un ritmo costante della parola, tanto da riportare il testo alla dimensione di una vera e propria partitura.
Non è la prima volta che dei primati vengono utilizzati sia in teatro che al cinema come voci onniscienti o come testimoni della storia: Latella si aggiunge alla lunga lista di artisti contemporanei in cui si vuole delegare ad un animale antropomorfo il ruolo di un uomo, che in questo caso viene "scimmiottato".
Lo spettacolo rappresenta una sorta di viaggio nella mente allucinata e al contrario a volte troppo lucida di Veronika, che però fa spesso riferimento anche alle altre donne del cinema fassbinderiano (Maria Braun, Martha…), fino ad incontrarle tutte riunite nel bel quadro liberamente ispirato a Il giardino dei Ciliegi di Cechov che chiude lo spettacolo.
La fine psicologia dei personaggi in versione latelliana può divertire, far riflettere sul senso della rischiosa e pazza vita degli attori/artisti (come quella dell’ispiratrice della pièce Sibylle Schmitz, accusata di essere stata protetta dalla dittatura nazista) e quindi delle enormi difficoltà che possono costellare le loro esistenze, ma l’elemento che in questo spettacolo è iper presente, a volte in maniera ossessiva, è una evidente volontà di enfatizzare le caratteristiche della parola fassbinderiana.
Nulla da eccepire sulle intenzioni del regista italiano trapiantato a Berlino se non fosse che R.W.F. non avrebbe mai voluto che il testo fosse qualcosa di diverso da ciò che semplicemente rappresentava dal punto di vista semantico.
Fassbinder appartiene ad una schiera di intellettuali/drammaturghi/attori che hanno trasposto nelle loro opere la vita così come si invera nel reale farsi.
Chi conosce bene il cinema di Fassbinder - una testimonianza fedelissima e incontestabile di come un drammaturgo/sceneggiatore voglia rappresentare il proprio pensiero tramutato in testo testo - è consapevole della tangibilità, della verità assoluta e incontrovertibile, a volte crudele e sforzante del valore delle parole, che non danno spazio ad ulteriori interpretazioni se non quelle che il regista tedesco ha scelto di dargli.
A parte l’enorme gigantografia, che appare ai nostri occhi come un’immagine ridondante rispetto alla scena e la onnipresente figura del regista che parlerebbe dirigendo il film nello spettacolo, di R.W.F. non rimane molto, non troviamo più il suo testo, pur apprezzando la cervellotica regia, basata su un fittissimo intreccio di dialoghi tra i personaggi schierati uno dopo l’altro su delle sedie da cinema e celati dagli enormi costumi da scimmie bianchi, i quali poi si svelano passando da narratori ad attori, e ricongiungendosi così tutti con il fulcro Veronika Voss.
Perché sacrificare un capolavoro della letteratura tedesca contemporanea a favore della "sperimentazione" treatrale ormai già vista in altri lavori?
Non si vuole confondere la letteratura teatrale con la regia e il teatro, ma semplicemente ricordare che la maestria di un regista si può dedurre anche dal rispetto profondo che egli può continuare a nutrire nel tempo nei confronti di coloro che hanno cambiato la storia del teatro contemporaneo e tra questi la stella di R.W.F. continua a brillare contraddistinguendosi per aver voluto scrivere senza filtri delle paure, fobie, passioni, amori, del sentire tedesco e del suo tempo.
La divertente chiusura dello spettacolo, in cui i personaggi si ritrovano a fare una colazione alla Manet maniera, (quella colazione allucinata di cui parla Veronika nel suo ultimo delirio) conferma la disarmante immaginazione di Antonio Latella, che a prescindere dall’essere amato o meno, resta comunque uno dei più stimolanti registi del nostro teatro.


(Parlami d’amore Veronika Voss); traduzione e adattamento: Antonio Latella e Federico Bellini; tratto da: Veronika Voss di Rainer Werner Fassbinder; regia: Antonio Latella; interpreti: Monica Piseddu (Veronika Voss), Valentina Acca (Henriette / Margot), Massimo Arbarello (ombre), Fabio Bellitti (ombre), Caterina Carpio (Grete / Maria), Sebastiano Di Bella (ombre), Estelle Franco (Dottoressa Katz / Martha), Nicole Kehrberger (Josepha / Emma), Fabio Pasquini (Capo – Coro, Ebreo, Regista), Annibale Pavone (Robert Krohn), Maurizio Rippa (Capo Polizia / Elvira); produzione: Emilia Romagna Teatro Fondazione Utilizzo della sceneggiatura Die Sehnsucht der Veronika Voss di Peter Märthesheimer e Pea Fröhlich, da una bozza di Rainer Werner Fassbinder, per gentile concessione della Fondazione Rainer Werner Fassbinder – Berlino e di Verlag der Autoren – Francoforte sul Meno / Germania.



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