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FESTA DEL CINEMA DI ROMA - VIAGGIO SEGRETO

Pubblicato il 23 ottobre 2006 da Edoardo Zaccagnini


FESTA DEL CINEMA DI ROMA - VIAGGIO SEGRETO

Costretti ad impiegare energie meglio spendibili nel tentativo di sciogliere un enigma ricattatorio: Andò ci lancia in una faccenda super privata e ci obbliga a raccogliere i pezzi giocando coi nostri doveri spettatoriali. Alla fine ci mancano i tasselli e il giocattolo non funziona. La nostra fatica è risultata vana; il tempo perso a cercare di capire si associa alla consapevolezza dell’inutilità del gioco. Solo gli elementi tecnici ci salvano dall’arrabbiatura critica. Funzionano fotografia, suono e montaggio. Manca parecchio in termini di funzionalità narrativa e di significato generale. Se alla fine i conti fossero tornati avremmo assistito ad un film tra il mediocre e il sufficiente. Così la pellicola di Viaggio segreto risulta un film vuoto o quasi.
Domande: perché una coppia di persone adulte inizia a litigare, sistematicamente e senza motivo, subito dopo aver fatto l’amore? Questo accade molte volte nel film e da questa follia (che l’autore non spiega) parte il treno filmico che conduce ai titoli di coda. Forse nel romanzo di Josephine Hart, Ricostruzioni, da cui il film è tratto, risulterà più chiaro. Una bambina piglia un fucile e con un colpo solo secca la madre. Sarà jella o bravura, fatto sta che dopo una simile esperienza tutto il risultato inconscio che ella ne produce vale un’incapacità nei rapporti sentimentali e una sfiducia, quasi generazionale, in campo lavorativo: roba da film sui trentenni in crisi, quelli della Roma pratina, flaminia, pariolina di pochissimi anni fa. Il cinema delle figlie dei registi, della serietà sterile, della commedia negata in nome di una dignità pretesa e confusa nell’enunciazione di un problema socio-esistenziale. A parte gli abusi di La bestia nel cuore, raccontati con orizzontale decenza dalla mano lineare e protetta di Cristina Comencini, la maggior parte di questi personaggi parte da un contesto di realismo quotidiano in cui il problema è di facile assorbimento poiché diffuso tra la merce umana che si reca alla proiezione: famiglia, denaro, ruolo sociale. In Viaggio segreto, però, si toccano i recinti del cosidetto cinema di genere. Nel tempo in cui Tornatore coinvolge e divide con La sconosciuta e De Palma fornisce alibi ai superficiali ed ai confusionari col suo film complesso e impegnativo: Black Dahlia, più adatto alla critica che al pubblico comune. La differenza tra il bel film di Tornatore e quello incompiuto di Roberto Andò non sta tanto nel sociale proposto dal primo e del tutto scartato dal secondo, quanto, piuttosto, nella facilità di presa che il primo costruisce su uno spettatore perversamente e costantemente attratto dai virtuosismi tecnici dell’autore e da una maestria nell’organizzazione generale del materiale di partenza. Personaggi appuntiti, raffiche di flash-back a sorpresa, cunicoli contorti alla fine dei quali si accende una luce sollevante eppure fosca. Le regole che Tornatore adopera e forza al limite sono le stesse che Andò smonta. Neanche in La sconosciuta tutto è chiaro, a partire dalle intenzioni intime del regista. Resta però un film che rapisce la massa, sconvolge piacevolmente la domenica, un film visibile in Europa e già venduto in sette paesi. Viaggio segreto è invece opera da pre-proiezione, salvato dal manifesto a tre: Boni, Kusturica, Solarino. La loro è una presenza fotografica, un’esecuzione elementare di copione piatto. La coppia bellocchiana Finocchiaro-Baliani non merita troppe considerazioni, così come la Sicilia da Bellissimo novembre riproposta a pochi mesi da quella barocca, nuvolosa di Il regista di matrimoni. E’ terra, sempre bella, di muretti e ulivi, ma non è cinematograficamente una trovata nuova, significante, un pezzo di pietra e terra attivo. E’ la Sicilia da cartolina, quella da tv, che non sconvolge nè annoia. Il viaggio è noioso e scomodo; segreto lo rimane perché la messa in scena non è riuscita a rischiararlo, ad indicarne il tema di fondo che soggiace agli eventi. Nemmeno il prete incarnato da Roberto Herlitzka si salva: pare ad un certo punto varcare la soglia del compitino, ma poi si perde in un paio di considerazioni filosofiche scritte a pennarello sul cartellone a fianco alla macchina da presa...

Ottobre 2006

Regia: Roberto Andò; sceneggiatura: Salvatore Marcarelli, Roberto Andò; costumi: Gemma Mascagni Pesci; fotografia: Maurizio Calvesi; montaggio: Jacopo Quadri; interpreti: Fausto Russo Alesi, Giselda Volodi, Roberto Herlitzka, Marco Baliani, Valeria Solarino, Emir Kusturica, Donatella Finocchiaro, Claudia Gerini, Alessio Boni Musiche, Marco Betta Shore, Andrea Guerra; scenografia: Giovanni Carluccio Shore; produzione e distribuzione: Medusa; origine: Italia, 2006


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