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Escobar

Pubblicato il 24 agosto 2016 da Giammario Di Risio
VOTO:


Escobar

Che Dio e lo Spirito Santo ti benedicano e ti controllino – Si Padre, però un giorno voglio comprarmi un telescopio e guardare in cielo, così sarò io a controllare Dio … il grande boss, il “Padron”, ha deciso di andare in prigione raggiungendo il suo delirio di onnipotenza; intanto il gringo, un giovanotto richiamante il Tom Cruise anni Ottanta e che è entrato velocemente nella familia, sembrerebbe avergli tirato un brutto scherzo.

Siamo in Colombia agli inizi degli anni Novanta e due fratelli canadesi, di colpo, ce li ritroviamo su una spiaggia mentre tentano di aprire un chioschetto. Tra i due c’è Nick, faccia d’angelo e fisico asciutto, che un giorno, girando in paese, si innamora della bella Maria, perdendosi nei suoi occhi profondi, nelle labbra carnose e nel sorriso smagliante: di fatto parliamo di un angelo. Su questa scia potremmo ritrovarci presto in un nuovo Laguna Blu, ma si da il caso che l’angelo è la nipotina prediletta del più grande narcotrafficante di cocaina che storia moderna abbia mai conosciuto. Nick entrerà prestissimo nelle grazie del “Padron”, salvo poi, ovviamente, incontrare qualche “piccolo” problema.

L’operazione non regge sotto molti punti di vista. Abbiamo salti temporali che seguono la reale parabola di Pablo Escobar, fino alla pagliacciata della sua incarcerazione, inframezzati dalla storia d’amore dei due ragazzi, che accettano “la posta in gioco” in nome dell’amore salvo poi stupirsi quando lo zietto inizia a dare di matto. Sul versante attoriale, è evidente la lotta impari tra l’Escobar di Benicio Del Toro, gestito con manierismo e lieta ironia, e il Nick di Josh Hutcherson, che attraversa, senza profondità, la fase Laguna Blu -innamoramento, la fase presa di coscienza – maturità, e la fase Mission Impossible – fuga dallo zietto acquisito. La regia è classica, oleografica, con una musica usata sotto-forma di registro mitico-epico sia per esaltare l’amore dei ragazzi sia per pedinare l’aura di Escobar. Il regista Di Stefano inserisce poi dettagli su elementi cristologici in forma parabolica che invece di incorniciare, in chiave simbolica, la storia, risultano vuoti, retorici. Tolto il linguaggio, si trovano problemi anche nella scrittura, soprattutto nella fase finale.

Un film eccessivamente classico, prevedibile e che non può permettersi di sostenersi solo con la bravura di Del Toro. Il problema è l’incapacità di offrire profondità alla storia nonostante il tema trattante un personaggio che, basicamente, fornisce tanta argilla da cui partire; Di Stefano ha deciso di non rischiare fermandosi al guado.


CAST & CREDITS

(Escobar: Paradise Lost); Regia: Andrea Di Stefano; sceneggiatura: Andrea Di Stefano, Francesca Marciano; fotografia: Luis David Sansans; montaggio: David Brenner, Maryline Montieux; musica: Max Richter; interpreti: Benicio Del Toro, Josh Hutcherson, Brady Corbet, Claudia Traisac; produzione: Chapter 2, Jaguar Films, Nexus Factory, Pathé, Roxbury Pictures, uFilm, ; origine: Francia, Spagna, Belgio, 2014; durata: 120’


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