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Final destination

Pubblicato il 29 marzo 2001 da Alessandro Izzi
VOTO:


Final destination

Sono passati trenta anni da quando Bergman ha fatto incontrare, tra le pareti rocciose di un paesaggio a picco sul mare, un cavaliere di ritorno dalle crociate e la Morte. Allora il livido bianco e nero della meravigliosa fotografia di Sven Nykvist aveva reso ancora più lacerante il contrasto tra l’anima afflitta dal dubbio e l’unica certezza di un nulla eterno di foscoliana memoria incapace, però, nella crisi di ogni valore, di dare un senso e un sapore all’esistenza.
Bianco e nero... come le caselle di una scacchiera su cui si giocano le sorti della vita dell’individuo e in cui il vincitore non può essere che uno solo, alla fine, senza alcuno scampo e con la sola soddisfazione di essere riusciti, per un po’, a procrastinare un evento ineludibile.
E la dimensione della scacchiera, profondo motore della poesia del capolavoro di Bergman, è quella che dà l’avvio alla tremenda partita con la Morte messa in scena in questo Final destination di James Wong.
Solo che questa volta essa non è una figura nerovestita, ma un’entità amorfa, evanescente, la cui presenza può essere avvertita solo per impalpabili sensazioni, come lo scorrere furtivo di un’ombra che la coda dell’occhio riesce appena a registrare o come un soffio gelido che alza le foglie e corre dritto dietro la schiena dei malcapitati di turno.
E qui sta uno dei principali meriti del film di Wong: nell’aver ripreso l’archetipo del film horror e, più ancora, degli slaher movies (senza frattaglie però), riducendolo alla sua essenza più profonda, scarnificandolo e epurandolo fino a ridurlo ad un’astrazione. Non c’è più bisogno, allora, di motivazioni psicologiche che giustifichino gli efferati delitti. Non c’è bisogno di un Freddy Kruger, figura emergente del rimosso collettivo di una città, che ritornando nel sogno delle persone semina panico e morte. Né c’è bisogno di un Jason o di un Mike Mayers incarnazioni del male che, per funzionare come meccanismo narrativo, hanno bisogno di nascondere il loro volto dietro delle maschere che li privino di umanità (anche se folle) per renderli dei simboli. No, perché qui il simbolo emerge chiaro. Qui non ci è dato conoscere motivazioni, perché nel gioco dell’astrazione la motivazione è superflua o, se vogliamo, l’azione/evento soggiace ad una funzione puramente estetica. Quello che possiamo capire è solo la logica, astratta e gelidamente razionale dell’immane partita a scacchi della vita contro la morte.
E autentiche partite a scacchi sono le preparazioni dei singoli delitti/incidenti. Veri e propri giochi di strategia in cui la morte mette in posizione ogni singola pedina prima di muovere il pezzo forte in vista dello scacco. Ed è in questi delitti, in cui le cose paiono come animate di vita propria, che sta il motivo di maggior fascino della pellicola. Anche perché Wong, proveniente direttamente dalla serie X-files è un maestro nel dare ad ogni singolo evento, ad ogni singolo oggetto, quell’aura di presagio che determina tutta la tensione del film.
Tensione, presagio, vera e propria suspence Hitchicockiana (non a caso il soprannome di uno degli amici del protagonista è proprio Hitchcock) sono, allora, gli ingredienti del film. La consapevolezza di un evento catastrofico contro cui si può poco a meno che non si capisca la logica del meccanismo che lo ha messo in moto, andando a rompere il giusto anello della catena al momento giusto.
Merito di una regia attenta, allora, e di un gruppo di attori non male su cui spicca un Devon Sawa che si fa perdonare il passato Giovani diavoli con una prova convincente, se il film passa via in fretta e con qualche sussulto di autentica paura.
Certo Bergman era un’altra cosa, ma Final Destination è comunque più che dignitoso e si scava una nicchia non disprezzabile nel panorama del nuovo horror offerto dalla New Line Cinema.

(Final destination); Regia: James Wong; sceneggiatura: Glen Morgan, James Wong da un soggetto di Jeffrey Reddick; fotografia: Robert McLachlan (c.s.c.); montaggio: James Cablentz; musica: Shirley Walker; interpreti: Devon Sawa, Ali Carter, Kerr Smith, Tony Todd; produzione: Warren Zide, Craig Perry, Glen Morgan per New Line Cinema; USA 2000; distribuzione: Nexo; web info: Sito ufficiale.

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