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Gli anni più belli

Pubblicato il 13 febbraio 2020 da Fabiana Sargentini
VOTO:


Gli anni più belli

Con onesta dichiarazione di ispirazione al C’eravamo tanto amati di Ettore Scola nel cartello dei titoli di coda, Gabriele Muccino si lancia in Gli anni più belli a raccontare un’amicizia maschile a tre (più fidanzata di uno amata da un altro come quarto lato di un triangolo sghembo) partita dagli anni del liceo e finita nella contemporaneità. Si parte nel 1982: dentro la festa si balla Il tempo delle mele, fuori impazza la polizia su una folla di studenti manifestanti a cui si aggiungono per caso i tre giovani protagonisti - Giulio Ristuccia (da giovane interpretato da Francesco Centorame, da adulto da Pierfrancesco Favino), Paolo Incoronato (giovane Andrea Pittorino, adulto Kim Rossi Stuart) e Riccardo Morozzi, da quel giorno detto Sopravvissù (giovane Matteo de Buono, adulto Claudio Santamaria) - che iniziano la loro amicizia in emergenza da pronto soccorso. Sono adolescenti classici, desiderosi di scoprire il sesso, caciaroni e rituali. Il romantico Paolo si innamora di Gemma (giovane Alma Noce, adulta Micaela Ramazzotti) e la introduce nel gruppo. La vita li travolge: nel 1989, il giorno della caduta del muro di Berlino, Giulio prende la laurea in giurisprudenza, compiendo il salto di classe sociale (il padre è un gommista rozzo e strafottente); nel 1993 durante il periodo dei processi di Mani Pulite, l’avvocato Ristuccia vende l’anima al diavolo (sposando la figlia di un politico corrotto e ricchissimo); nel 2001 l’attentato alle torri gemelle sorprende ennesimi fallimenti familiari e lavorativi dei nostri eroi; nel secondo decennio del duemila Riccardo Sopravvissù prova a lanciarsi in politica col Movimento del Cambiamento (nome inventato per il movimento Cinquestelle). Nascono figli, muoiono genitori, ci si incontra per caso scendendo da un treno, si continua a credere e a idealizzare l’amicizia come vero salvagente dalla velocità con cui si invecchia. Toccante la scena del padre maltrattato che resta seduto per terra fuori dalla casa dove si svolge la festa per il sedicesimo compleanno del figlio.

Muccino pensa che la vita sia un enorme grande rammarico, che l’amore giovanile abbandonato tradito e frustrato sia quello da rimpiangere per tutta la vita, che i buoni sentimenti possano tirare avanti la baracca. Le donne baciano, scopano, urlano, portano via i figli ai padri. Al massimo fanno il caffè, si ubriacano di shottini, si tagliano le vene non viste, fumano e allevano pargoli a loro modo. Gli uomini falliscono sul lavoro, si realizzano guadagnano fanno compromessi si mettono in gioco, hanno bisogno l’uno dell’altro come supporto. Brindisi sempre uguale, negli anni: alle cose che ci fanno stare bene. Raccontare, come dichiara il regista nelle note di regia, quarant’anni di Italia e di italiani è impresa ardua e sdrucciolevole, dalle sfumature delicate non facili da ravvisare. Baglioni intona la canzone finale omonima del film.

Vedere questo film di Gabriele Muccino corrisponde ad andare ad una festa di ex compagni di liceo che si rivedono dopo trent’anni: sono invecchiati, dicono sempre le stesse battute, pensano di conoscerti come se gli anni passati senza frequentarsi non avessero lasciato nessun segno. Se si è tipi nostalgici si può piangere qualche lacrimuccia, se invece il tempo ha inasprito il cinismo si fanno quattro chiacchiere, si balla un paio di pezzi, si beve qualche drink e si torna a casa come prima, come se niente fosse.


CAST & CREDITS

(Gli anni più belli); Regia: Gabriele Muccino; sceneggiatura: Gabriele Muccino, Paolo Costella; fotografia: Eloi Moli; montaggio: Claudio Di Mauro; musica: Nicola Piovani; interpreti: Pierfrancesco Favino, Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria, Emma Marrone, Nicoletta Romanov; produzione: Lotus Production, Rai Cinema, 3 Marys Entertainment; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, 2020; durata: 129’


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