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Goltzius and the Pelican Company

Pubblicato il 15 novembre 2012 da Antonio Valerio Spera

VOTO:

Goltzius and the Pelican Company

E’ passato quasi inosservato al Festival di Roma, nella sezione CinemaXXI, eppure Goltzius and the Pelican Company è sicuramente la pellicola più ambiziosa, stimolante, interessante, ipnotizzante di questa edizione. Si tratta del secondo capitolo della trilogia dedicata dal maestro Peter Greenaway ai grandi pittori olandesi. Trilogia iniziata cinque anni fa con Nightwatching (2007), visto a Venzia e incentrato sulla figura di Rembrandt, e che si chiuderà nel 2016 con un film su Hieronymus Bosch.

L’olandese Hendrik Goltzius, uno dei primi incisori di stampe erotiche del tardo Cinquecento, riesce a convincere il malgravio d’Alsazia a finanziare un suo libro che prevede la riproduzione in immagini di alcune storie del Vecchio Testamento. Inoltre, l’incisore promette di mettere in scena per la corte del malgravio l’intera opera - con i racconti erotici di Lot e le sue figlie, di Davide e Betsabea, di Sansone e Dalida e di Salomé e Giovanni Battista - con la sua compagnia teatrale, la Pelican Company.

Questa la trama del nuovo capolavoro del regista inglese. Ma la forza del film non risiede soltanto in questo spunto tanto folle quanto geniale. Greenaway osa l’inosabile sia nella costruzione dell’impianto visivo sia in quello contenutistico che narrativo. Goltzius racconta in prima persona i fatti, parlando direttamente allo spettatore come fosse una rappresentazione teatrale o come in una vera e propria lezione sull’arte. Dai suoi racconti e dalle sue spiegazioni, si dipana una narrazione assolutamente lineare ma dai continui rimandi interni, che mette in scena il teatro nella vita, la vita che si fa teatro e viceversa, la magia della pittura che dà concretezza visiva alle parole, l’arte che si fa metafora dell’esistenza.

Goltzius and the Pelican Company non si presenta quindi come un semplice film narrativo con evidenti sottotesti. Piuttosto ha la potenza per ergersi a magnifico film-saggio che, nonostante una linearità narrativa di base, sa far perno su uno sperimentalismo quasi videoartistico, su un didascalismo vicino al documentarismo, su un’enorme background culturale che spazia in modo esplicito ed implicito dalla letteratura alla pittura, dalla teologia alla sociologia. Tutto questo condito da tanto sangue e tanto sesso, da una tensione emotiva ed intellettiva straripante da ogni sequenza, da una struttura tanto schematica e precisa quanto caotica. Sullo schermo passano parole, iconografie sacre, opere pittoriche, scenografie teatrali, nudità integrali maschili e femminili. Greenaway gioca costantemente sugli opposti, su ossimori ottenuti dall’accostamento di verbo, carne, richiami artistici. E in più sbeffeggia i dogmi del Cristianesimo, o meglio li rielabora in modo personale ma allo stesso tempo fedele alle scritture. Lo fa attraverso la Pelican Company, che davanti al malgravio d’Alsazia e alla sua corte, porta in scena in sei rappresentazioni ispirate al Vecchio Testamento i sei peccati carnali. Scandalo a corte quindi, ma nessuno scandalo sullo schermo. Nonostante Greenaway indugi continuamente sulle nudità degli attori (tutti si concedono integralmente compresi gli italiani Giulio Berruti e Flavio Parenti), sulle scene di sesso, sul piacere fisico, non si ha mai neanche l’accenno di una sensazione pornografica o volgare, ma sempre e comunque di uno schermo che si fa alternatamente tela, foglio e palco, dove l’autore non dà freno alla sua creatività e alle sue idee.

Il risultato è un cinema barocco che mescola tradizione e sperimentazione, finzione e realtà. Un film di continue suggestioni che punta dritto al sublime. Di non facile fruizione, sicuramente, ma un’opera da squarciare con lo sguardo, che suscita il desiderio di uno studio approfondito, che ti immerge completamente nella magia della creazione artistica.


CAST & CREDITS

(Goltzius and the Pelican Company) Regia e sceneggiatura: Peter Greenaway; fotografia: Reinier van Brummelen; costumi: Blanka Budak, Marrit van der Burgt; scenografia: Ben Zuydwijk; montaggio: Elmer Leupen; musica: Marco Robino; interpreti: Ramsey Nasr, F. Murray Abraham, Halina Reijn, Vincent Riotta, Flavio Parenti, Giulio Berruti, Francesco De Vito, Anne Louise Hassing, Lars Eidinger, Kate Moran, Maaike Neuville, Pippo Delbono; produzione: Kasander Film Company, Film and Music Entertainment, Eurimages, Netherlands Fund for Film, Catherine Dussart Productions (CDP), Rotterdam Film Fund, MP Film, Centre National du Cinéma; origine: Gran Bretagna, Paesi Bassi, Francia, Croazia; durata: 120’.


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