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Governance - Il prezzo del potere

Pubblicato il 17 aprile 2021 da Francesca Pistocchi
VOTO:


Governance - Il prezzo del potere

Rinchiuso fra edifici di vetro senza spazio e senza tempo, Renzo Petrucci (Massimo Popolizio) è il direttore generale di una grande multinazionale del petrolio - per la cronaca lo stesso campo dove per 15 anni ha lavorato il regista prima di approdare al cinema. Ricco, cinico, disilluso, talvolta annoiato eppure potenzialmente feroce, al nostro protagonista non manca nulla per incarnare lo stereotipo di sé stesso. Come ogni spietato manager che si rispetti, ha un’ex moglie bella e annoiata, una villa elegante e vuota, un’automobile di lusso e fin troppi scheletri nell’armadio – a cominciare dall’amico meccanico Michele (Vinicio Marchioni), buon’anima appena uscita di galera che però non perde tempo a rientrare nelle grazie del suo munifico benefattore.

Dopo L’Erede (2010), l’italo-francese Michael Zampino ritorna dietro la macchina da presa per un thriller dalle sfumature italiane: e in effetti, Governance – Il prezzo del potere (disponibile dal 14 aprile su Prime Video) riesce mescolare con grande maestria tutti gli ingredienti della ricetta, dosando al punto giusto intrighi, politica e quel poco d’introspezione psicologica che al pubblico fa sempre piacere assaporare. Reduce dai 15 anni trascorsi nel rutilante e immoto universo dell’industria, il regista sa donare grande credibilità ai dialoghi (minimali quasi quanto la scenografia) e alla logica d’interscambio su cui poggiano tanto le vette aziendali quanto i rapporti privati. Tessendo una vera e propria tela di ragno dai contorni doverosamente sfocati, l’obiettivo gira intorno al piccolo dramma umano di Renzo e alle mosche intente a ronzargli intorno. Quando però un terzo inquilino minaccia di distruggere la già fragile costellazione, il protagonista dovrà correre ai ripari: la giovane rampante Viviane Parisi (Sara Denys), infatti, sembra avere tutte le carte in regola per sconvolgere gli equilibri del delicato alveare, imponendosi come nuova ape regina e spodestando i veterani dai loro comodi scranni.

Nel lavoro e nella vita, Viviane e Renzo si somigliano tanto quanto si respingono: lei si trova all’inizio di una lunga carriera, lui si avvia recalcitrante verso il desolato epilogo. Lei cresce da sola suo figlio, lui si barcamena fra i cocci di una famiglia ormai ridotta in frantumi. Lei allunga lo sguardo al di fuori dei confini nazionali, lui rimane eternamente intrappolato nel vecchio sgabuzzino. Zampino dispone le pedine necessarie per allestire un interessante scontro fra titani – peccato che la guerra si esaurisca nei primi cinque minuti. Il prologo parla chiaro: in una notte di follia, Renzo cede ad un irrazionale (eppure, secondo la logica del film, naturalissimo) istinto di sopravvivenza e spinge Viviane fuori strada. Scacco matto. Il resto del lungometraggio si dipana in forma di flashback, per poi accelerare turbinosamente verso le conseguenze del crimine, smascherando i colpevoli di questo triste gioco dell’oca. Così, sul tavolo avanzano Re e Regine pronte a difendere la propria casella con le unghie e con i denti – sfoderando, nel corso della partita, l’arma peggiore: quella del silenzio. Appaiono in seguito anche i fanti e i pedoni, qui incarnati da Michele e da sua moglie Rita (Sara Putignano), entrambi soggiogati dalla torbida sicurezza e dalla malcelata condiscendenza con cui Renzo li aiuta a galleggiare sul filo della palude. Se Michele tenta timidamente di ribellarsi non è certo per amore di giustizia, ma per entrare nella lotta del più forte a cui solo l’amico-padrone pare avere pieno accesso.

All’interno dell’efferata scacchiera, il regista si destreggia con un’abilità che solo l’esperienza diretta poteva conferirgli, costruendo un ottimo prodotto dal design piuttosto freddo e minimale: sotto tale aspetto, si può forse dire che il regista assomigli al nostro scettico manager. Per il resto, l’opera non intende deragliare dai binari prestabiliti – ed è tanto un bene quanto un peccato: la linea narrativa, sapientemente dissestata ma dall’itinerario in fondo prevedibile, non riesce a scuotere più di tanto le coordinate del sistema che invece vorrebbe condannare. I personaggi rimangono immobili alla propria fermata, nulla riesce a scuoterli dal torpore che li circonda e a cui, anzi, essi si aggrappano terrorizzati. Perfino l’Ispettrice addetta al caso (Sonia Barbadoro) si dibatte senza troppa convinzione, rassegnandosi al destino con una certa mollezza. Il regista mette in scena un giallo dalle tinte ombratili, un polar senza colpevole, un thriller dall’abito raffinato ma già indossato su diverse passerelle. E, in fondo, l’epilogo non fa che riportarci al punto di partenza: la morte di Viviane permette all’intercapedine di resistere ai colpi della storia, perpetrando un ordine senza spazio e senza tempo – esattamente come le case di vetro in cui i nostri pedoni proseguono sereni le proprie battaglie.


CAST & CREDITS

Governance – Il prezzo del potere - Regia: Michael Zampino; sceneggiatura: Michael Zampino, Giampaolo G. Rugo, Heidrun Schleef; fotografia: Stefano Paradiso; montaggio: Gianluca Cristofari; interpreti: Massimo Popolizio (Renzo Petrucci), Vinicio Marchioni (Michele Laudato), Sara Denys (Viviane Parisi), Claudio Spadaro (Marcello Zanin), Antonio Zavatteri (Mimmo Rotondi), Maria Cristina Heller (Carla Petrucci), Diego Verdegiglio (Ministro Maccaferri), Sonia Barbadoro (Ispettrice Ricciardi), Sara Putignano (Rita Laudato), Tania Bambaci (Mirella), Marial Bajma-Riva (Sofia Petrucci), Viviana Altieri (Liliana); produzione: Panoramic Film, Alba Produzioni, Loin Derrière L’Oural; origine: Italia 2020; durata: 89’.


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