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Roma 2015 - Grandma - Alice nella città

Pubblicato il 27 ottobre 2015 da Fabiana Sargentini

VOTO:

Roma 2015 - Grandma - Alice nella città

Grandma (regia sfrenata di Paul Weitz) rompe tabù generazionali, sessuali, di genere. Osa raccontare la giornata di Elle, una nonna poetessa lesbica (Lili Tomlin) che cerca i soldi per far abortire la nipote Sage (Julia Garner), avuta dalla despota figlia (Marcia Gay Harden) tramite inseminazione artificiale con donazione di seme anonimo. La ragazzina ha un appuntamento alle 17.00 di quel pomeriggio in una clinica privata che, per l’intervento, prende 630 dollari. Elle ne ha quarantatré in banca e Sage diciotto in tasca. Con le carte di credito la poetessa ribelle ha fatto uno scaccia pensieri appeso all’entrata di casa, risuonante al passaggio del vento. Durante gli ottanta minuti di pellicola seguiamo le loro avventure-disavventure.
I temi insiti nella ragnatela sono mille e nessuno è gestito con superficialità, leggerezza, banalità. Tutto è colto nel qui e ora. La chiave per andare avanti è l’autoironia, l’auto accettazione, la presa di coscienza che la vita a volte può essere una merda ma può essere affrontata di petto con senso di sopravvivenza, voglia di godere, ricerca del piacere, estetico, fisico, intellettuale. I diritti delle donne, il femminismo, l’omosessualità, la maternità, l’aborto miscelati, come in un Martini ben riuscito, con la precarietà sociale, la malasanità, la lotta per l’eterna giovinezza, lo humour, la malattia e la morte. Lili Tomlin è da Oscar. La sceneggiatura, scritta dal regista stesso, mai prevedibile. La drammaticità è sempre squarciata da taglienti battute che fanno da contraltare e sbilanciano il peso sul sedile della sala cinematografica.
Film esaltante, dissacrante, duro, vero. Dubita dei rapporti, li mette in crisi, disconosce i vincoli di sangue, trasgredisce le regole, gioca coi ruoli classici, coi ribaltamenti, con i generi sessuali. Si è giovani e vecchi allo stesso tempo, si vive e si muore lo stesso giorno, si perde e si vince in ogni istante: fare all’amore, perdere un amore, scegliere di non avere un figlio, tutto è primario, enorme, vitale ma tutto è in balia del vento, di una macchina che si rompe, di un vaffanculo di troppo, di un tatuaggio fatto al posto di un recupero crediti. La potenza della scelta e la potenza della solitudine compongono un ritratto femminile di rara riuscita.

Il film è diviso in sei capitoli:
1. Endings (conclusioni, addii). Battute fulminanti:"Mi ami?" "Passo l’aspirapolvere". 4 mesi di storia con Olive, di una ventina d’anni più giovane. Quando il vicino piacente aiutandole ad accendere la Dodge (di reale appartenenza a Lili Tomlin) da tempo chiusa in garage concupisce con lo sguardo la nipotina minorenne, Elle lo brucia con un "È già incinta".
2. Ink (inchiostro). Vanno dal ragazzo colpevole del rapporto sessuale non protetto, Cam, felpa con la foglia di marijuana e barbetta spelacchiata . "La tua faccia somiglia ad un’ascella".
3. Apes (scimmie). Al bar dove tenta di vendere prime edizioni di libri femministi ("La mistica del femminile", "L’età forte" di Simone De Beauvoir, Germaine Greer) alla proprietaria Carla, lavora Olive (Judy Greer), la giovane lasciata dopo quattro mesi la mattina stessa, la offende con un: "Solipsista, scrittrice su commissione". La nipote: "Sto imparando nuovi insulti". "È perché frequenti gente ignorante che dice solo stronzo e vaffanculo".
4. The ogre (l’orco). Villa meravigliosa nel verde. Tutta vetrate e terrazzi e giardini. Ci vive Karl (Sam Elliott). "Sono trent’anni che non ci vediamo". Lui offre zucchine e pannocchie appena colte e cotte. "Mi fa soffrire vederti, Elle". Lei è beffarda. "Sarà la menopausa maschile". "Eravamo giovani". "I giovani sono stupidi". Gli chiede 500 dollari. Lui chiede in cambio un bacio. Elle accetta. Sage è in giardino, vede l’azione, quasi si scandalizza. "Quarantanove anni fa mi hai trattato male: te ne sei andata di notte e ci hai scritto sopra una poesia "Il seme dell’orco": ero tuo marito".
5. Kids (bambini). La clinica. Tre generazioni di donne, la nonna, la madre, la figlia. Una serie di colpi di scena, il più spiritoso: una bambina di dieci anni, attivista pro life, con cartello con su scritto "abortion is death", da un pugno su un occhio ad Elle.
6. Libellule. Elle, tornando a casa, fa uno stop in taxi davanti a casa di Olive per portarle i volumi non venduti. Dalla ragazza ci sono i genitori. "Che ti è successo all’occhio?". "È stato un boomerang del karma". Francesca, la madre fricchettona della giovane ex, ricorda e ha studiato sul suo libro di poesie, "Libellule". Le dice: "Pensavo avessi smesso di scrivere". "La gente smette di leggere", risponde lei. "È stata una giornata lunga voglio andare a casa a scrivere". Elle e Olive si danno un bacio. Il taxi se n’è andato via senza aspettarla: Elle cammina via nella notte da sola ridendo.
L’intelligenza di una commedia del genere (e la verosimiglianza di ogni ruolo) in Italia non passerebbe una riunione di produzione, una convocazione di commissione del Mibac, non sarebbe riconosciuta potente né necessaria, come invece è, nell’oggi contemporaneo. Il regista è eclettico: American pie (debutto alla regia) con il fratello Chris,, About a boy, In good Company. Girato in 19 giorni budget di 600.000 $ in una Los Angeles dagli angoli taglienti, sbilenchi, luogo di solitudini, di povertà e lusso agli angoli.


CAST & CREDITS

(Grandma); Regia: Paul Weitz; sceneggiatura: Paul Weitz; fotografia: Tobias Datum; montaggio: Jonathan Corn; musica: Joel P. West; interpreti: Lily Tomlin, Julia Garner, Marcia Gay Harden, Judy Greer; produzione: Paul Weitz, 1821 Media; origine: Stati Uniti, 2015; durata: 80’


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